venerdì 20 novembre 2015

Raffaello Raffaelli - Descrizione geografica storica economica della Garfagnana (Lucca 1879)

Raffaello Raffaelli
Descrizione geografica storica economica della Garfagnana

Lucca, 1879

COMUNITA' DI CASTIGLIONE

Le terre che la compongono, oltre il capoluogo, sono Marcione, Cerageto, S. Pellegrino, Valbona, Chiozza, Campori, Pian di Cerreto, e Mozzanella, aventi 765 case, 637 famiglie, e 3526 abitanti. Confina a levante ed a mezzogiorno con quella di Pievefosciana, a ponente coll'altra di Villa Collemandina ed a settentrione colla Provincia di Modena per una linea di chilometri 10,297 (1).

I prodotti de' suoi terreni nella parte inferiore sono uguali presso a poco a quelli degli altri paesi già descritti; ma nella superiore la principale risorsa consiste nelle castagne e nel bestiame, di cui si hanno in tutto il Comune ben 3000 capi. Difatti le vaste pendici e le cime dell'Appennino sono coperte di estesi castagneti, di boschi di faggi di alto fusto, e di stupendi pascoli per le vacche e le pecore, che danno latte squisito, e quindi eccellenti formaggi e ricotte.

In quelle vaste boscaglie nel secolo XVI eranvi ancora degli orsi, come ne fa fede la lettera seguente, scritta dal Duca Ercole II, il 25 agosto del 1550, al Dott. Niccolo Zanelli da Lugo Commissario della Garfagnana.

(1) II confine del Comune di Castiglione si parte da Montalbano, e con una linea quasi orizzontale traversa quello di Pievepelago, Provincia di Modena, nei luoghi denominati il Diaccio de' Ladri, la Bocca Bella, la Bocca del Fornello, e il Cardosello; quindi con una curva entra nelle terre di Frassinoro, e scende per la Costa del Landi fino al territorio di Fontanaluccia e Mistioso, e si distende, salendo il Girone, fino al Giovarello. Da quel punto con dolce pendenza va in quel di Gazzano, e pel monte delle Forbici Vecchie e Nuove raggiunge la Marinella. E qui volgendo a ponente si unisce alla Comunità di Villa Collemandina con una discesa irregolare fino al fiume di Sassorosso e quindi risale all'altezza di quel paese. Tocca poi la Marina, la Frana, il Colle di Cesa, il Monte Alto o Colle di Prato, il monte di Val di Luce o delle Vetrici, il monte Aquilato o Val di Forca, il Prunaccio a 1100 metri sul mare, il monte Sopello, il

«Questa venuta nostra in Garfagnana sarà, piacendo a Dio, alli otto o dieci del mese che viene: havressimo charo di vedere una cazza de' orsi, li quali intendemo che in questi tempi delle uve discendano dalla sommità delle Alpi; et perché avemo inteso che a quelle bande ve se ne trova, et in gran copia, et che vi sono cazzatori a posta per simile exercitio, et massime a Castiglione, castello dei Signori Lucchesi, volemo che facciate cercare in quei dintorni li circonvicini se vi fosse comodità di fare una cazza in questa nostra venuta, alla quale potessimo avere spasso, et che sopra tutto se vi potesse andare a cavallo, et per tale effetto manderete su le Alpi di S. Pellegrino et in tutti quei contorni, facendo usare ogni possibile diligentia perché ne sia posta una all'ordine se si potrà, acciocché quando saremo per quelle bande la trovamo in essere. Et tanto exeguirete. Bene valete. Hercules Dux Ferrariae (1)».

Le grandi macchie e le pasture, che abbiamo accennato, sono in gran parte di proprietà del Comune. Oltre di queste, possiede il Palazzo Municipale, il Casone di Profecchia sulla via Nazionale (2), e diversi molini dati ad enfiteusi; sicché i suoi redditi patrimoniali ascendono a L. 5100 all'incirca, somma che

Crociale di Saldaia, il monte Medicina, e la prima e seconda parte del monte Castro. Da Sassorosso poi, passato il Rio di Val di Forca, va con giro obliquo al monte di Notte, e discende a Catacciano, e Carpineta. Traversato quindi il canale di Pian di Cerreto, raggiunge il fiume di Mozzanella, e con una curva assai pronunziata tocca il colle della Piella, entrando così nel Comune di Pievefosciana, dopo aver percorso un tratto di chilometri 12,705. Di qua piegando a mezzogiorno, e drizzandosi poscia a levante, gira largamente sotto Pian di Cerreto, tocca Pontardeto all'ala destra del Ponte, e serpeggiando lungo il fiume di Castiglione monta nei dintorni di Campori, e si dirige al Ponte del Sillico, ove risalendo sulla destra il corso del fiume torna a congiungersi al punto di partenza sul Montalbano con una linea di chilometri 19,080.

Chi bramasse notizie più dettagliate sugli antichi confini a nord e ovest della Comunità di Castiglione, non avrebbe che a consultare i documenti relativi dell'Archivio di Stato Lucchese, dai quali sappiamo che nel giorno 23 agosto del 1491 furon collocati i termini che la separavano da quella di Massa-Sassorosso; e che il 27 settembre si venne, per lo stesso motivo, ad un amichevole accomodo con Mistioso, e Fontanaluccia, allora denominata Fontana Lucia.

(1) Archivio Governativo di Castelnuovo.

(2) Quel fabbricato erasi eretto dal Governo di Modena negli anni 1845-46 per comodo dei lavoranti quando costruivasi la strada delle Radici. Fu poi posto in vendita dal Demanio, ed acquistato dal Municipio di Castiglione il 6 giugno del 1872 per ital. L. 3725. Dista dal Castello chilometri 17,60, ed è alto metri 1350 sul livello del mare.

poche Comunità del nostro Circondario possono raggiungere, e che diverranno sempre maggiori con una buon'amministrazione, in grazia del forte aumento dei prezzi de' legnami e del combustibile.

In antico amministravasi da un Parlamento di 60 individui, che si adunavano diverse volte l'almo per provvedere ai pubblici bisogni. E alle decisioni di codest'Assemblea si debbono i Legati Pii che anche attualmente vengono soddisfatti a carico del Municipio. Come documenti della Religione de' nostri padri li accenneremo.

1. Festa annuale di S. Paolo (30 giugno) nella Chiesa di S. Pietro (1).
2. Festa de' SS. Fabiano e Sebastiano (20 gennaio) (2).
3. Festa di S. Paolino Vescovo di Lucca (12 luglio) (3).
4. Festa di S. Rocco (16 agosto) (4).
5. Festa di Sant'Anna (26 luglio) nella chiesa di S. Michele (5).
6. Festa di S. Pellegrino (1 agosto) (6).
7. La prima Domenica poi di gennaio devesi offrire, inter Missarum solemnia, in perpetuo alla Vergine del Rosario 10 scudi da Cappelloni 25, ossiano Ital. L. 23.40; e provvedere per cinque sere consecutive a quanto occorre alla esposizione del Venerabile, per le quali funzioni somministra 3 libre e mezzo di cera ed una d'incenso (7).
8. Il 6 marzo deve cantarsi una messa all'altare della Vergine stessa (8).

Come possesso lucchese Castiglione aveva l'Estimo del 1803; ma venne poi riformato sulle basi di quello del rimanente della Garfagnana nel 1819, quando il Duca di Modena Francesco IV prendeva in affitto quella Comunità per l'annuo canone d'Ital. L. 16,000 (9).

(1) Decreto del Parlamento 18 giugno 1474. Lib. de' Parlamenti; fogl. 74, carte 171.
(2) Idem, 18 settembre 1463.
(3) Idem, 15 luglio 1498. Fogl. 108.
(4) Idem, 10 marzo 1531. Carte 23.
(5) Idem, 16 agosto 1602. Fogl. 252 e 253.
(6) Idem, Idem.
(7) Idem, 20 gennaio 1631. Carte 41.
(8) Idem, 6 marzo 1741.
(9) Nell'Archivio Lucchese esiste un antico Estimo di Castiglione del 1443; cui va unito un quadernetto del secolo XVI contenente l'estratto di altro Estimo del 1392.
La sua rendita imponibile coll'attuale Catasto è di scudi 30,577.21; ed i contribuenti sono 678.

Il Bilancio Comunale per l'anno 1877 porta i seguenti estremi:

1. Entrate ordinarie ………………….. L. 8806.57

2. Spese ordinarie……………………. " 9970.75

3. Differenza in meno……………….. " 1164.18

4. Sovraimposta . …………………… " 6915.82

Essendosi poi rinnovata la Esattoria, come negli altri luoghi, la somma presunta dalla Finanza per la riscossione annua è di L. 35.457.61.

Gli elettori amministrativi ascendono a 122, ed a 40 i politici.

Avvi una scuola maschile e due femminili, oltre diverse altre, dette paterne, nei paesi circonvicini.

Tre sono le strade principali che traversano il territorio Castiglionese, cioè:

1. La nazionale Livorno-Mantova, che fronteggia gran parte del Castello, e prosegue per l'Appennino, ove raggiunge la Foce delle Radici, dopo 24 chilometri.

2. La mulattiera, che da Campori pel monte di Chiozza guida a S. Pellegrino, aperta nel 1750 (coll'intendimento che fosse ruotabile) e denominata dall'Ingegnere che la ideò si malamente Strada Vandelli. Ha essa una lunghezza di chilometri 15,500, partendo da Castelnuovo, e traversa l'Appennino presso al primitivo varco apertovi nell'anno 1077, all'altezza di metri 1627, sul livello del mare (1). Discendendo dalla parte opposta, dopo breve tratto, raggiunge la nazionale in prossimità di un luogo denominato i Fontanini.

3. La nuova ruotabile obbligatoria, recentemente costrutta che staccandosi da Pontardeto presso la sponda destra del fiume, raggiunge il confine della Comunità di Villa Collemandina all'estremo settentrionale del piano di Cerreto, ove dicesi alla Bottegaccia, ed arriva a quel capoluogo.

Per accedere da Pieve Fosciana a Castiglione per la via nazionale, varcato appena il fiume a 4 chilometri da Castelnuovo, vedisi in faccia un piccolo villaggio che si noma Marcione.

(1) Secondo la livellazione fatta dal Colonnello Carandini di Modena


MARCIONE


Giace esso alla base della collina su cui sorge il Castello, a circa 200 metri dalla strada nazionale, varcato il fiume a ponente.

L'abbate Vincenzo Marchiò (1) opina che questo villaggio traesse il suo nome dal Console Romano Quinto Marcio, il quale nella guerra apuana dell'anno 568, avviluppato dai nemici in quei luoghi angusti, ebbe a sostenere la perdita di 4000 soldati, undici bandiere e tre insegne della seconda legione; e quantunque si volesse tener celata tanta sconfitta, rimase nonostante al luogo il nome di Marcio, ed in progresso di tempo quello di Marcione. Altri invece ritengono che il luogo ove i Romani furon battuti, colla uccisione del Console Quinto Marcio, fosse nel versante opposto, nelle montagne vicine a Fosdinovo, e precisamente nel luogo ove sorge il paese di Marciaso da Marcius coesus. E il loro avviso è appoggiato alle parole di Tito Livio che dicono: Nam saltus unde eum Ligures fugaverunt Martius est appellatus (2). A noi sembrerebbe poter esser vere e conciliabili ambedue tali opinioni, ammettendo che sotto Castiglione il Console toccasse la disfatta di cui si parla, e che tentando salvarsi coi pochi avanzi del suo esercito, si dirigesse verso la Lunigiana, punto più facile e più vicino a guadagnarsi, colla strada fin d'allora esistente; e giunto ove oggi sorge Marciaso, vi perdesse miseramente la vita per mano dei Liguri Apuani. La intelligenza del cortese lettore darà al nostro avviso quel peso che riterrà meritare.

Il villaggio di Marcione è composto di sole 4 case, e di altrettante famiglie coloniche appartenenti all'Ospedale di S. Pellegrino con 35 abitanti. Ivi esiste un piccolo Oratorio, dipendente dal Parroco di S. Pietro di Castiglione, ove si celebrava la Messa ne' dì festivi e s'insegnava la dottrina ai fanciulli da un Cappellano provvisto coi fondi di S. Pellegrino; ma oggi soltanto vi si celebra la festa del titolare S. Tommaso Vescovo, con messa cantata il 29 dicembre, ed il patrono di S. Pellegrino, Conte De' Nobili, vi fa distribuire annualmente due mezzini (chilogrammi 26) di grano, ridotto in pane, ai poveri.

(1) II Forestiere informato delle cose di Lucca; pag. 30.

(2) Hist. Rom. lib. XXXIX. Cap. 12. Repetti, Diz. Geog. Stor. della Toscana.
In quelle vicinanze era pure la Villa detta di FabriO, di cui si fa cenno nella Bolla di Papa Alessandro III del 1168; colla quale si assegnavano al Pievano di Fosciana, fra gli altri, i diritti sulla Villa di Fabrio e Marcione, e sulla chiesa di S. Quirico di Fabrio. E se è vero (come risulta dalla nota delle chiese della Pieve Fosciana del 1260) che l'attuale Oratorio esistente in Marcione portasse in antico il titolo di S. Quirico, potrebbe con molta probabilità dedursene che Fabrio e Marcione formassero una sola Terra o almeno fossero molto vicine, e che il nome della Villa di Fabrio sia andato in dimenticanza. Un incendio avvenuto or sono molti anni nell'Archivio Comunale di Castiglione ci toglie il mezzo di rintracciare maggiori notizie su tal proposito. Lasciato a sinistra questo piccolo villaggio, posto in fertilissima campagna assai pianeggiante, proseguiremo a salire la bella collina Castiglionese colla strada nazionale, e dopo due chilometri saremo a quel capoluogo. A mezza strada vedesi, a destra, una colonna di pietra con sopra una piccola statuetta di marmo. Ivi esisteva un'antica chiesa sotto il titolo di Santa Lucia, con campanile veduto dai più vecchi di quei dintorni ancora viventi. Quando nel 1836 si aprì una strada comunale per quella parte, vi fu scoperto un tempietto sotterraneo, di forma rotonda, formato con bellissimi conci di pietra arenaria, nelle cui pareti era un piccolo sarcofago contenente lo scheletro di un giovane, con le braccia unite con un anello di ferro (1). Il sito ove sorge quella colonna è di dominio diretto della chiesa di S. Michele, e di utile della famiglia Puccini di Castiglione, la quale è obbligata, per solenne istrumento, a mantenervi la immagine di Santa Lucia, forse per rammentare la esistenza in quel luogo dell'antica chiesa, che vi lasciò il nome.


CASTELLO DI CASTIGLIONE


È questo un antico castello, sulla sinistra parte del Serchio, di figura quadrilatera, munito di forti bastioni, torrioni, e di un fortilizio che gli sovrasta a nord-est, divenuto oggi una deliziosa proprietà del Cav. Antonio Vittoni di Castelnuovo.

Fino da' più remoti tempi ebbe moltissime vicende per la interessantissima posizione strategica. I Signori di Castiglione

  1. Io stesso accorsi sul luogo a vedere tale scoperta.

sono nominati nei privilegi di Federigo I del 1185 e di Federigo II del 1242. Nell'anno 1014 Grimazzo o Grimizzo, Vescovo di Lucca, dette Castiglione in feudo ai Nobili Gherardenghi, i quali poi ne furono espulsi dai lucchesi, e ne perdettero il dominio (1).

Nel 1169 questo Castello con diverse altre terre della Garfagnana, fra le quali il Comune di Ceserana, parteggiò pei Pisani, che vi spedirono il loro Console Guidone Mercato con cento cavalieri, il quale poi al momento di ripartirne vi lasciò un presidio, sotto il comando di Veltro da Corvaia.

Offesa oltremodo la Repubblica Lucchese per la ribellione di un Castello ch'erale rimasto fedelissimo sino a quell'epoca, mandò a quella volta ristesso suo Podestà, Beradigo da Bozzano, con buon numero di truppa. Esso, fatta sosta per diversi giorni a Castelnuovo per raccogliere altri soldati, mosse a darvi l'assalto. S'impegnò la battaglia, in cui essendo eguale il valore la sorte rimase incerta per diversi giorni. Finalmente arrise ai Lucchesi, che fatti molti prigionieri, fra i quali l'istesso Veltro da Corvaia, vollero vendicarsi distruggendo Castiglione quasi dalle fondamenta. La popolazione spaventata si dette a fuggire, ed una parte si rifugiò a Frassinoro, paese al di là dell'Appennino. In seguito poi delle reiterate preghiere, fu ad essa concesso perdono, con facoltà di ricostruire il Castello, con obbligo peraltro, insieme coi Signori Gherardenghi (che avevano fomentata la ribellione) di giurare fedeltà alla Repubblica (2). Dopo 57 anni, e precisamente nel 1226, ad istigazione de' Pisani, Castiglione si ribellò nuovamente alla Repubblica, la quale l'anno appresso nel mese di febbraio vi spedì il suo Podestà con 500 fanti ed altrettanti cavalli, e cinto di assedio il Castello, dopo sei giorni (sebbene vi fosse alta la neve) lo riconquistò, e lo danneggiò molto col ferro e col fuoco (3). Dopo le guerre che in seguito ebbero luogo, tornò in potere dei
  1. I Gherardenghi trassero la loro origine da Gherardo del fu Gottifredo, il quale vedesi nominato m un istrumento dell'anno IX dell'Imperatore Ottone, con cui veniva investito da Adalongo (38.° Vescovo di Lucca, che ne resse la Diocesi dall'anno 968 al 977) di alcuni beni a Tiglio, ed a Pedona nel Barghigiano. I Gherardenghi erano padroni anche della fortezza della Verrucola, che per ciò stesso dicevasi Verrucola Gherardenga.
  1. Anche i Barghigiani, sebbene non fossero in quell'epoca ribelli ai lucchesi pure, come ne assicura il Beverini, furon costretti a rinnovare ai medesimi i loro giuramenti di fedeltà.
  2. P. TOLEMAEI, Annales.yu76666666gfvb

Pisani; ma nella pace conclusa il 13 giugno 1276, fu stabilito per espressa condizione fra i medesimi e la Repubblica Fiorentina, che Castiglione fosse restituito a quella di Lucca.

Quando la Garfagnana nel 1308 era divisa nelle tre Vicarie di Barga, di Gallicano, e di Castiglione, questo fu capoluogo della Vicaria omonima, che componevasi delle seguenti Terre e Castelli, cioè Palleroso, Ciciorana, (oggi Ceserana), Campori, Carpineta, Cerageto, Piano di Cerreto, Mozzanella, Monticelli, Verrucchio (1), Magnano, S. Donnino, Massa di Sassorosso, Pontescosso (oggi Pontecosi), Ponteardito (Pontàrdeto), Gragnanella, Chiosa (oggi Chiozza), Marcione, S. Pellegrino, Castelnuovo, Capraia, Barghecchia, Sillico, Roggio, Gramolazzo, Vagli sopra e Vagli sotto. Villa Collemandinga, Sassorosso, Quarfino (ora Corfino), Sericagnana (oggi Sillicagnana), Pieve a Fosciano, Castagnora. Questa Vicaria nell'anno 1382 componevasi di 887 capi di famiglia, e 2536 individui (2). A quell'epoca risiedeva in Castiglione un Commissario della Repubblica, che adempiva le funzioni di Giudice, con un Cancelliere notaro e attuario. Nel 1341 questo Castello apparteneva al Marchese Spinetta Malaspina, che con atto solenne del 5 agosto, rogato per mano di Bartolo Notaro, lo vendeva alla Repubblica di Firenze, con altre Terre e Castelli che possedeva in queste parti. Nell'anno seguente Lucca fu soggiogata dai Pisani coll'aiuto di Luchino Visconti; nè riuscì ai Fiorentini di riguadagnarla. Ma il Visconti non soddisfatto de' suoi alleati, nell'anno seguente occupò alcune terre della Garfagnana, fra le quali Castiglione, che però dovette ben presto abbandonare al sollecito sopraggiungere di 300 cavalli e 600 fanti spediti da Pisa sotto la direzione di Francesco Castrucci. Ritornato peraltro nel 1344 con nuove truppe, riuscì ad impadronirsi di quel Castello e di altre terre, cui recò molto danno; se non che venuto poco dopo coi Pisani a concordia, restituì ad essi tutti i paesi che aveva invasi nella Garfagnana.

  1. Era piccolo paesello sulla destra del fiume di Castiglione, e vi esisteva una chiesa ed un piccolo fortilizio. In oggi resta il nome a quella località con una casa e poche capanne. Del resto non vi sono che ruderi sparsi qua e là, che indicano ancora l'antica esistenza di fabbricati.

  1. Risulta dal censimento della popolazione fatto eseguire dalla Repubblica per effettuare nella Garfagnana una distribuzione di sale. Rinnovato il censimento da Paolo Guinigi nel 1406 ne risultò una diminuzione di 89 nel numero delle teste.

Dopo che i figli di Castruccio, Alderigo e Vallerano furon cacciati da Lucca, e si ritirarono in alcuni loro possessi che avevano in Garfagnana, nel 1357 accozzato un corpo di truppa di 400 cavalli e 2000 fanti, cinsero di assedio Castiglione, ma il 12 agosto ne furono ricacciati dai Pisani, come abbiam visto trattando del Comune di Pievefosciana al titolo Capraia (pag. 201).

Le solide mura di quel Castello furono costruite nel 1371; ed in esso fu ratificata, il 10 marzo dell'anno medesimo, la pace conclusa fra il suddetto Alderigo ed ogni altro della sua lega colla Repubblica lucchese. I Pisani, cui interessava moltissimo il possesso della Garfagnana, tentarono promuovere in essa una rivoluzione, valendosi, nell'anno 1396, dell'opera di un certo notaro Giovanni Linelli di Castiglione. Egli riuscì a far ribellare alcuni paesi della Vicaria di Camporgiano, e fatto più ardito, coll'aiuto di Ser Boso da Sillano, passò all'assalto di Castelnuovo; ma giunto da Lucca buon numero di truppa, il Linelli si salvò colla fuga dandosi ai Visconti di Milano e Ser Boso fu preso, tradotto in quella città, ed ivi decapitato. Anche il primo pagò poco dopo il fio del suo tradimento, dapoiché essendo stato rinvenuto nel Castello di Ripafratta quando i Fiorentini lo ricuperarono dai Lombardi nel 1405; venne da loro ucciso, ed il cadavere ne fu gettato da quella fortezza. Finalmente dopo la pace del 1441 Castiglione rimase ai Lucchesi, formando quasi un'isola in mezzo alla Garfagnana, già divenuta per le diverse dedizioni, di proprietà degli Estensi.

Dalla parte meridionale del Castello in linea retta vedesi l'antico fortilizio detto il Bargilio sui monti di Diecimo e di Borgo a Mozzano, del quale servivasi la Repubbica per dare segnali a Castiglione, coll'intermedio della torre di Montecatino, che sorge anche attualmente fra il Bargilio e la città.

Nella famosa giornata del 17 luglio 1583, quando le milizie Estensi piombarono da varie parti sulla Garfagnana e sulla Lunigiana lucchese (cioè nella Vicaria di Minucciano), il Capitano Borghi, lasciato un forte presidio a S. Pellegrino, invase Chiozza, Campori, Monticelli, Piandicerreto e Cerageto, recando ovunque danni gravissimi col sacco e col fuoco. Scese quindi a Pievefosciana, e vi stabilì il suo quartiere. Irritati i Lucchesi di queste atrocità, mossero da Castiglione verso Villa.


Collemandina, ove accadde uno scontro, in cui rimasero diversi morti e feriti dall'una e dall'altra parte. Giuntane notizia al Colonnello Galignano, il quale (come vedremo) aveva il suo quartier generale a Sillano, spedì immantinente a quella volta i Capitani Rocca, Vecchi e Farinelli, i quali arrivati sul luogo ov'era accaduta la zuffa, posero il fuoco a Tramonti, a Carpineta, a Marcione, e ad una segheria per legnami, risparmiando soltanto una fabbrica di ferro di ragione di Michele di Salvatore Guinigi di Lucca.

Quando nel 1602 il Bentivoglio cinse di assedio Castiglione, i suoi abitanti lo sostennero valorosamente per tree giorni, rendendo inutili tutti gli sforzi del Generale modenese, che dovette poi ritirarsi, guidando le sue truppe su Monteperpoli, ove si fortificò. I Castiglionesi, ignari dell'ordine ch'era giunto al Bentivoglio, di cessare le ostilità, pei richiami del Fuentes al Duca Cesare, assalirono alle spalle la retroguardia dei modenesi, ne uccisero 25, e poscia si condussero a Corfino ed a Sassorosso, appiccandovi il fuoco per vendetta dei danni sofferti.

Anche nel maggio dell'anno successivo si riaccese la guerra fra gli Estensi e i Lucchesi. Questi non tardarono a rinforzare Castiglione con un corpo di 500 uomini comandati dal Colonnello Lazzaro Giovardi, e Gallicano con altri 500 sotto il comando del Generale Jacopo Lucchesini; il quale volendo mandare più tardi nuova truppa a quel Castello, e trovando ostacoli nelle vie ordinarie, rigorosamente' guardate dagli Estensi, fu costretto avviarla per sentieri scabrosi dell'Alpe del Sillico, passando per un luogo detto anche attualmente il Volpiglione; ma i Modenesi che erano a S. Pellegrino, accortisi del tentativo, mossero a contrastare il passo ostinatamente. Fu quindi necessario che una parte del presidio di Castiglione accorresse a liberare i suoi commilitoni dalle strette in cui si trovavano, e dopo molti sforzi riuscì di sgombrare la via ai nuovi arrivati, e di scendere e rientrare con essi trionfalmente nel Castello in mezzo alle pubbliche dimostrazioni di gioia. In quel fatto peraltro i Castiglionesi disgraziatamente perdettero diversi uomini, e fra gli altri l'Alfiere Pierotti. Un altro corpo di 400 uomini, diretti dal Capitano Mario Trenta, erasi spedito contemporaneamente dai Lucchesi a presidiar Minucciano. In altro scontro cogli Estensi, avvenuto verso Campori, rimase gravemente ferito il bravo Capitano Francesco Guasparini,

che poco dopo, cioè il 15 maggio, dovette soccombere (1). Ma non tardò il Bentivoglio ad assediar nuovamente Castiglione. Mandò prima il Marchese Luigi Montecuccoli a dare l'assalto a Montepigoli, luogo eminente ed interessantissimo, e quindi guardato in modo particolare dai Lucchesi. Dopo breve, ma accanito combattimento, in cui fu grande la mortalità d'ambe le parti, il Montecuccoli guadagnò la posizione, e vi pose una batteria (2). Frattanto il corpo d'armata cinse il Castello; ed accortisi che anche una chiesa a poca distanza dal medesimo, detta la Corba, erasi fortificata dai Lucchesi, il Bentivoglio spedì ad assalire quel ridotto il Capitano Alfonso Coccapani modenese, cui fu facile impadronirsene, mentre il presidio, sorpreso di notte tempo improvvisamente, si dette alla fuga ai primi colpi del nemico. Il fuoco di Montepigoli demolì ben presto la torre del Castello detta Brunella; mentre un'altra batteria collocata più in basso avealo fulminato più da vicino, ed aperta una breccia, per la quale il Conte Ercole Cesis con altra nobile gioventù venturiera, da varie parti arrivata al quartier generale del Bentivoglio, ebbe ordine di dare l'assalto. L'arrivo improvviso peraltro di due ambasciatori e di un corriere da Modena fecero sospendere le ostilità, e poco dopo si concluse la pace (3). Le truppe lucchesi partirono da Castiglione cogli onori militari, accompagnate da uno squadrone di cavalleria lombarda fino a Monteperpoli, e .il Bentivoglio fece collocare in Montalfonso tutte le artiglierie che aveva seco condotte. Il Castello ebbe a soffrire molti danni, sia per l'assedio, sia pel bombardamento che avea sostenuto. In memoria dei fatti accaduti durante l'anno 1603 i Castiglionesi posero una lapide commemorativa su quel palazzo Municipale, colla seguente iscrizione:

«Mentre gli uomini di Castiglione, con forte animo risoluti di morir sudditi dell'Eccellentissima Repubblica di Lucca,

(1) Il Guasparini nella sua gioventù aveva servito Enrico IV in Francia in qualità di Alfiere. Ritornatone prese servizio sotto i Lucchesi da cui ebbe il comando del presidio di Castiglione. In quella chiesa di S. Pietro esiste una lapide che lo rammenta.

(2) Fu in quella circostanza che i Lucchesi fecero fondere un cannone di grosso calibro per quei tempi, entro il castello, impiegandovi anche il bronzo delle campane. Ma per manco di metallo rimase imperfetto, e dovettero segarlo sotto la bocca. Non avendo in pronto peraltro palle da 30 come portava il pezzo, che denominarono Calubrina, i suoi colpi valsero più a intimorire, che a danneggiare il nemico.

(3) Vedi lettere del Generale Bentivoglio, di Pirro Malvezzi, e del Capitano Verdugo d'Avila de' 5 giugno 1603.

attendevano la seconda volta nello spazio di un anno a fare animosa resistenza al numeroso esercito dei Modenesi, el altri che aspramente battevano ed assediavano questo Castello, essendo mandato il soccorso delli Ill.mi SS.i dell'Offìz.o delle Differenze, fu anche da loro scritta una lettera a questa Comunità così amorevole, che facendo mentione della antica sua fedeltà, si conserva fra le cose più care nell'Archivio di Castiglione. Fatta poi la pace fra SS.i Lucchesi et il Duca di Modena, piacque all'Eccell.mo Consiglio di segnalar la fede et attioni degli Homini di Castiglione col privilegio che possano portar l'armi anco per la città. Onde per decreto dell'Hono.le Consiglio et General Parlamento di Castiglione, si lascia memoria di queste cose a quelli che ne' futuri secoli nasceranno, acciocché con l'esempio dei loro antenati siano perpetuamente fedeli sudditi all'Eccell.mi SS.i Nostri, alla Benignità de' quali possono sperar sempre gratie maggiori ». GIULIO PIEROTTI E PIETRO ARRIGHI

Sotto Deputati MDCIII

Troppo lungo sarebbe il descrivere le guerre più terribili e sanguinose del 1613, in cui Castiglione ebbe la parte principale, dando sempre prove di sommo valore, abnegazione e coraggio. Soltanto accenneremo che essendo rimaste in quella occasione molto danneggiate dalle armi de' Modenesi anche le mura della Rócca e del Castello, vennero restaurate, e riparati i guasti nei tre anni successivi a cura di Lelio De' Nobili, allora Commissario di Castiglione, come risulta dai conti delle spese relative, che si conservano nell'Archivio di Stato in Lucca, ove esistono eziandio i disegni delle fortificazioni, con quelli di Gallicano e di altri luoghi.

Attualmente Castiglione ha tre porte, le quali non servono che a rammentarne l'antichità, essendosi permesso dal Municipio, già da qualche anno, a quelli che avevano fabbricate case sulla mura castellane, di aprirvi l'ingresso anche dalla parte esterna. In addietro le porte erano soltanto due, poste ai lati di levante e di mezzogiorno. L'altra a ponente fu aperta per comodo della popolazione or son pochi anni. Nel 1848 essendosi quelli abitanti assai intimoriti per le politiche vicende, e pei movimenti militari che allora avvenivano, desiderarono fosse meglio provveduto alla loro sicurezza, specialmente di notte tempo; per cui il Municipio il 7 di agosto ottenne dal
Governo Provinciale la facoltà di costruire forti serrature alle due porte del Castello per poterle chiudere ad ogni evenienza (1).

Presso la principale dal lato di mezzogiorno avvi una piazza che fu ampliata dal Municipio, colla occupazione di un orto appartenente al Comandante del Castello, detto Capitano di Porta, che fu ceduto dal Governatore della Provincia Don Galasso Pio di Savoia quando, nel 1821, venne meno la detta carica di Capitano di Porta (2).

Nell'interno del paese esistono 89 case, 79 famiglie, e 342 abitanti; e nella campagna, compresa la Cura di Chiozza, 516 fabbricati, 417 famiglie, e 2451 anime. La sua posizione è veramente incantevole, dominando buona parte della Garfagnana, e presentando da ogni banda belle e svariatissime vedute. Siede su di un poggio che forma controfforte dell'Alpe di S. Pellegrino nei grad. 28.3.' di longitudine, e 44°9.' di latitudine; a 531 metri sull'altezza del mare (3). Ha da levante il fiume Esareolo, che ne bagna la collina: ad occaso il rio che scende dai monti di Villa Collemandina denominato di Magnano di Mozzanella.

Sono dentro le mura due chiese parrocchiali, l'una sotto il titolo di S. Pietro, l'altra di S. Michele; ambedue nominate nella nota delle chiese di Pievefosciana del 1260. Della prima si hanno memorie fino dal 723; e ne risulta che ai tempi di Luitprando Re de' Longobardi, e del Vescovo Telesperiano (4), nel mese di gennaio del suddetto anno. Arimando e Gandifredo, fratelli costruirono e dotarono la chiesa stessa. Nell'anno 768 poi la dote le fu aumentata dal suo Rettore, nel tempo che la sottoponeva allo Spedale di S. Colombano fuori di Lucca. Come apparisce manifesto da una lapide che tuttora vi esiste, questa chiesa venne consacrata il primo febbraio del 1197 da Guidone, Vescovo di Lucca; indizio sicuro che dovette essere in quel torno o rifabbricata dalle fondamenta o per lo meno grandemente accresciuta. Essa è rammentata, insieme con quella di S. Michele, nella Bolla di Alessandro III del 1168.

(1) Atti Governativi N. 973.
(2) Lettera del Municipio de' 14 maggio 1821. Decreto Governativo 18 detto, N. 3125.
(3) Misurata al Torrione occidentale.
(4) Fu il 25 ° Vescovo Lucchese, le cui memorie dal 713 giungono fino all'anno 729.

Il Vescovo di Lucca Niccolò Guinigi (1), con approvazione pontificia, dava facoltà al Parroco di battezzarvi i bambini, che in addietro portavansi al fonte della chiesa matrice di Pievefosciana.

Nell'anno 1391 alla chiesa di S. Pietro di Castiglione furono aggregate le altre di S. Bartolomeo di Chiozza, e dei SS. Jacopo e Cristoforo di Verrucchio, villa che più non esiste ai di nostri. Nel Registro Vaticano trovasi inscritta la Corte di Castiglione come tributaria della S. Sede per causa della Contessa Matilde. Il campanile di S. Pietro fu ricostruito nel 1827 su di un antico torrione del Castello. Rapporto a S. Michele si ha che essendone rimasta vacante la Parrocchia, per la rinunzia fattane dal Rettore Nicolao Gabrielli lucchese nel 1513, l'Università de' Cappellani Benefiziati di S. Martino di Lucca ottenne da Roma che tutti i beni ed i frutti della stessa Parrocchia fossero incorporati nella massa dei Cappellani di quella Università, coll'obbligo però di mantenervi un Vicario che avesse la cura della parrocchia medesima (2). Cessato poi il Governo della Repubblica, e indemaniati i beni della Università dei suddetti Cappellani, la Commissone Ecclesiastica di Lucca fece un conveniente assegno in beni ed in censi al Parroco di S. Michele, al seguito di che quel Benefizio tornò ad essere di libera collazione per sentenza della Curia Romana in data del 20 ottobre 1851.

Fino dall'anno 1559 esisteva in Castiglione uno Spedale sotto sotto il titolo di Santa Maria di Piazza fuori del Castello, destinato a ricevere gli ammalati di quel Comune ed i pellegrini; ma essendosi introdotto l'abuso presso la popolazione di quei dintorni di esporvi i trovatelli, per deliberazione dei Consoli de' Mercanti di Lucca del 3 giugno 1768, approvata dal Vicario Vescovile, fu chiuso, ed i suoi letti si trasportarono allo Spedale di S. Masseo in detta città. Il suo patrimonio peraltro fu aggregato nell'anno 1771 allo Spedale della Misericordia di Lucca, che assunse l'obbligo di ricoverare e mantenere gl'infermi e i bastardelli castiglionesi; e ciò mantenne fino al 1819, cioè per 48 anni consecutivi. Passato però Castiglione a quell'epoca a far parte del Ducato di Modena, reclamò

(1) Niccolò di Lazzarino Guinigi venne eletto Vescovo di Lucca nel 1394.
(2) Rogito del Notaro Pietro Piscilla del 3 ottobre 1513, esistente nell'Arch. Parrocchiale
i beni del suo Ospedale, ma inutilmente, dapoiché erano già stati venduti alla pubblica subasta alli fratelli Micheluccini a rogito Gabrielli del 2 novembre 1821 pel prezzo di L. 9900.

Quando la Repubblica lucchese nel 1799 si cambiò di aristocratica in democratica, Castiglione ne seguì le sorti, ma ebbe per ciò stesso a soffrirne assai, dapoiché nell'anno successivo essendo acquartierata a S. Pellegrino una Divisione di 600 uomini Cisalpini e Liguri, comandata dal Capo Battaglione Desportes, questi fece invadere il Castello, v'impose una contribuzione di Italiane L. 11,200, ordinò il disarmo della fortezza, il mantenimento de' suoi soldati, e il licenziamento di tutti i militari appartenenti alla Repubblica che vi si trovavano. Poscia fu sempre proprietà dello Stato lucchese, e quindi andò soggetto ai Principi Baciocchi, all'Amministrazione Austriaca, ed ai Borboni. Siccome però col Trattato di Vienna del 1815, era stabilito che laddove il Ducato lucchese dovesse incorporarsi alla Toscana, Castiglione sarebbe passato agli Estensi, così il Duca Francesco IV lo prese precedentemente in affitto nell'anno 1819 (come si è avvertito di sopra) e si amministrò dagli Estensi come tutto il rimanente della Garfagnana fino alla morte della Duchessa Maria Luigia di Parma, quando si fece luogo alla prevista reversibilità. Primo pensiero di Francesco IV fu quello di provvedere al gravissimo ed irregolarissimo Estimo, che aggravava quelle popolazioni, e ordinò fosse perequato a quello vigente in tutta la Provincia, come ho già detto. Volle quindi visitare il nuovo paese, e vi si recò il giorno 11 giugno dell'anno seguente in compagnia del proprio fratello Arciduca Massimiliano. Con straordinarie feste vennero accolti in Castiglione; e fu allora che il Municipio chiese al Sovrano che si aprisse una strada ruotabile la quale toccando il Castello, unisse la Garfagnana con Modena; e per facilitarne il compito, offrì in dono tutto il terreno di ragion comunale che doveva occuparsi nella costruzione della medesima. Francesco IV accettò l'offerta, e promise secondare i voti dei Castiglionesi; siccome fece, per quanto dopo uno spazio di tempo assai lungo. Il Municipio stesso volle perpetuare la memoria di un tal giorno, e il 14 agosto del 1821 fece collocare una lapide sul palazzo comunitativo, colla seguente iscrizione, lo che avvenne in mezzo alle più entusiastiche dimostrazioni di gioia.

QUO . FAUSTA . FELIX . AETERNA . SIET COLONIS . INCOLIS . CONJUGIBUS LIBERIS . QUE . NOSTRIS FRANCISCI IV . ARCIDUCIS . AUSTRIAE PANNONIAE . QUE . PRINCIPIS MUTINAE . REGII . AUGUSTI . LENISSIMI . BENEFICENTISSIMI AFFABILIS . CLEMENTIS . PACIFICI . MEMORIA QUOD . BENIGNISSIMO . ADVENTUI . PRAESENS III - INDUS . IUNII . MDCCCXX FIDELIUM . CASTILIONENSIUM . VOTA . EXPLEVIT CONCILIUM . COMMUNITATIS OPTIMI . SAPIENTIS . QUE . DOMINI NOVO . IMPERIO . MAJESTATI . QUE . DEVOTUM COETUS . UNIVERSI . CONSULTO MONUMENTUM . PUBLICUM DECREVIT.

Fino all'anno 1829 ebbe Castiglione una Vicegerenza (Vice Pretura), la quale a quell'epoca venne soppressa, ed il Comune fu unito alla Giudicatura di Castelnuovo. Il 10 dicembre 1830 fu pure tolta via la Brigata dei Dragoni per alleviare la Comunità dalla relativa spesa di alloggio e casermaggio; ma fuvvi ripristinata nel 1856, specialmente per essere quei luoghi molto più frequentati dopo il compimento della nuova strada per Modena (1).

Visto così quanto si riferiva al Castello di Castiglione, ci riporremo in cammino per la via nazionale, e dopo un breve e piacevole viaggio saremo ai piedi di Cerageto.


CERAGETO


Questo paese è situato ad occidente di Castiglione, alla distanza di chilometri 4 e ad un'altezza maggiore di metri 290 essendo elevato metri 770 sul livello del mare.

Conta 60 case unite, con 58 famiglie e 252 abitanti; oltre a 33 case sparse su quei monti, con 30 famiglie e 172 abitanti, i quali tutti fanno parte della stessa parrocchia, la cui chiesa è sotto il titolo di S. Martino.

In una bacchetta di Collazioni del 1410 (2) trovasi che la chiesa di Cerageto, vacante per la morte di Prete Lorenzo, fu unita a quella di Sassorosso; che nell'anno successivo ne fu nuovamente disciolta, e nel 1439 venne aggregata a S. Pellegrino (3).

(1) Atti Governativi del 1856. N. 2306.
(2) N. 12. Fogl. 70.
(3) N. 13. pag. 75.

Può dirsi che presso quel paese cessi la coltivazione, non essendo al di sopra che selve di castagni, e boschi di faggi con qualche pianta di abete presso il Casone di Profecchia. Si eccettua però il monte detto di Medicina, ove esiste un coltivato, che si estende fino a Terrarossa.

La strada nazionale Livorno-Mantova ne tocca le prime case. Proseguendo raggiunge un casolare detto il Prunaccio a 1100 metri sul livello del mare, passa al suddetto Casone, e quindi varca l'Appennino alla Foce delle Radici (ov'è una osteria a 1470 metri di elevazione) per scendere nella Provincia Modenese.

Cerageto sembra non esistesse ancora nel 1168, dapoichè non trovasi nominato nella Bolla Pontificia di quell'anno, in cui sono notate le chiese della Pieve di Fosciana. Vi si legge bensì: chiesa di S. Martino di Montepigulo; ma il villaggio di tal nome, di cui non restano ora che poche case coloniche, era dalla parte opposta, cioè ad oriente di Castiglione, e Cerageto ad occidente. Siccone poi nell'Archivio Arcivescovile di Lucca esiste un editto del 26 febbraio 1377 per la conferma del Rettore della chiesa Curata e Collegiata di S. Martino di Cerageto, o Montepicori, così potrebbe essere che la Provincia in antico esistesse a Montepigoli, e più tardi fosse trasferita a Cerageto. Anche in essa ha sede una Confraternita, di cui il Municipio di Castiglione sottoponeva all'approvazione governativa i Capitoli il 5 maggio 1838.

Dopo un viaggio di chilometri 20 da Cerageto si giunge per la via nazionale alla suddetta osteria delle Radici, da dove volgendo ad oriente, passeggiando per erbosi prati per circa due chilometri, o per un sentiero praticabile anche con bestie da soma, si perviene al villaggio e al Santuario notissimo di S. Pellegrino, del quale andiamo a trattare.


S. PELLEGRINO

Esiste sull'Alpe di Castiglione un'antichissima chiesa denominata S. Pellegrino, dapoichè uno sconosciuto di tal nome, recatosi ad abitare nelle folte boscaglie che coprivano i dossi dell'Appennino, allora denominate Termesalone, vi morì dopo diversi anni in concetto di santità. Chi fosse costui è assolutamente incerto, come lo sono l'epoca della venuta e della morte di lui.

Molti sono gli autori che scrissero di S. Pellegrino, ma altrettante sono pure le contraddizioni che in essi riscontrasi, essendo favolose le antiche leggende del Santo, cui essi hanno attinto. Nè maggior luce si ha dai Bollandisti, i quali danno in vero quella leggenda, ma la qualificano fabulosa e il di più hanno ricavato da cronisti e scrittori lucchesi.

Una storia stampata in Bologna, di autore incerto, riferisce che S. Pellegrino morì l'anno 462, in età di 97 anni. La Cronaca manoscritta in pergamena, che dicesi rinvenuta nelle pareti della chiesa delle Alpi, accenna che il Santo passò ad altra vita l'anno 643. Il Franciotti afferma che S. Pellegrino venne in Toscana nel 624 e morì nel 643. Ne scrissero pure il Vedriani, il Dott. Rossi di Modena, il Sacerdote Adami di Bologna, ed altri; ma chi crede la morte avvenisse nel 400, chi nel 462, chi nel 463, ed altri nel 772, alla qual'epoca peraltro non si fa parola nè della chiesa, nè del monte di S. Pellegrino, nel diploma di Carlo Magno dell'anno istesso (1), in cui sono notati assai esattamente i confini della Diocesi di Reggio colle altre ad essa contermini.

Alcuni asseriscono che l'istesso S. Pellegrino lasciasse notizie di sé medesimo mediante un intaglio fatto in un legno, da cui appariva avere in quell'epoca 93 anni; ma questo pure ritiensi una favola. Altri dicono che mentre S. Pellegrino moriva, era Vescovo di Lucca Leto, il quale fece parte del Concilio di Roma celebrato nel Palazzo Laterano sotto il pontificato di Papa Martino nel 649; e questa circostanza convaliderebbe la opinione del Franciotti rapporto all'epoca della morte del Santo. Cade poi in gravissimo errore quando dice che, appena conosciuto tale avvenimento, molti Vescovi della Toscana, del Modenese e della Romagna accorsero sul luogo a visitarne il cadavere; e quelli che più si mostrarono persuasi della Santità di Pellegrino furono Severo Vescovo di Ravenna, S. Gemignano di Modena, ed il suddetto Leto Vescovo di Lucca, i quali unitisi fecero immediatamente costruire una chiesa in quella località per riporvi il corpo di S. Pellegrino, e di un suo compagno per nome Bianco, che ritiensi andasse ad abitare in quelle montagne per riverenza, ed affezione per S. Pellegrino. Ma questa asserzione cade di per se stessa, se si rifletta che S. Gemignano morì il 31 gennaio del 397; e Leto viveva nel

(1) Esiste nell'Archivio Capitolare di Reggio di Emilia.

649. Il Dempsterio, nella Storia ecclesiastica di Scozia, aggiunge la stessa notizia (sulla fede di altro autore della vita di S. Pellegrino) e narra come assistessero alla sepoltura di detto Santo molti Vescovi dell'Etruria con 27 altri della Gallia Cisalpina, con S. Geminiano di Modena, S. Severo di Ravenna, e il Beato Alessio Vescovo di Pisa; ma oltre gli errori di data sovraccennati, il Tronci, l'Ughelli ed altri affermano che nell'anno 643, era Vescovo di Pisa un Alessandro, e non Alessio, ed il Sollerio chiama spacciatore di favole il biografo cui appoggiasi il Dempsterio, e questi celebre a raccontarle. Nè a torto, dapoiché non solo egli inventò molte cose per accrescerne la gloria degli Scozzesi, ma riportò persino fra i Vescovi Pisani parecchi non mai esistiti.

Il più accurato di quanti hanno lasciate memorie certe, o almeno probabili sul nostro santo è l'Abate Domenico Barsocchini lucchese (1). Egli dice che: « Pellegrino nacque (secondo narrano certe antiche cronache) nel Regno di Scozia circa l'anno di Cristo 600; si portò a Gerusalemme a visitare il Santo Sepolcro e gli altri luoghi santi della Palestina; venne poscia in Italia (alcuni soggiungono, sbarcando in Ancona) a visitare la chiesa di S. Michele Arcangelo, già eretta a piè del Monte Gargano, indi le chiese di Roma, da dove finalmente partì verso le Alpi di Castiglione di Lucca (nominate in antico, secondo alcuni storici e geografi, le montagne di Leto, di Balista e di Anido) per ivi passare il rimanente della sua vita; e dopo aver vissuto diversi anni in quelle boscaglie, vi morì verso la fine del secolo VII ». Fu allora che il nome di quella montagna si cangiò in quello di S. Pellegrino, ed in un necrologio del XII secolo sotto il giorno 19 settembre trovansi queste parole: « Obiit Gottifredus Rosso de Sancto Peregrino ». E da ciò può facilmente dedursi che la montagna stessa aveva cangiata la sua denominazione. In tanta incertezza sulla persona, sulla patria, sulla vita e la morte di Pellegrino, come di quella del suo compagno, per nome Bianco, non resta di positivo se non che egli fu sempre tenuto in concetto di santo, e come tale ebbe culto e venerazione, ed a suo onore si edificò sull'Alpe di Castiglione in un piccolo ripiano a 1460 metri sul livello del mare un Oratorio, ove riposa il corpo del medesimo e di S. Bianco. Quindi sebbene di ambedue potesse esistere qualche

  1. Diario Sacro delle Chiese di Lucca; pag. 183, 84, 85.

fondo di verità nelle favole delle Leggende che li riguardano, pure sarebbe impossibile separare l'una dalle altre, essendo ciò superiore alle forze della critica più accurata e perspicace, principalmente per l'assoluta mancanza di documenti autentici contemporanei, o almeno di una certa antichità, su cui appoggiarsi.

Restringendomi pertanto a ciò solo che è positivo, accennerò che, oltre all'antichissimo Santuario dedicato ai SS. Pellegrino e Bianco, fu fabbricata in quella località e presso la chiesa una casa detta Ospedale, nella quale abitarono alcuni frati che ne avevano la custodia, provvedendo ai viandanti che transitavano l'Appennino per quella parte, ove nell'anno 1077, erasi aperto un varco verso le Provincie Modenesi (1).

In seguito il Duca Alfonso II vi fece erigere dalle fondamenta un locale ad uso locanda, che anche attualmente vi esiste.

Federigo Barbarossa nel 1168 donò a quel santuario 4 miglia di terreno intorno (2) alla chiesa, dopo che un suo nipote per nome Adriano ivi condotto infermo (la cronaca dice ossesso) ebbe ricuperata completamente la salute. Questa donazione fu poi confermata da Federigo II l'anno 1239, ad istanza di Gualdo Maestro dello Spedale (3).

Rapporto alla chiesa leggesi nel Diario delle chiese lucchesi di Monsig. Gio. Domenico Mansi che il Pontefice Alessandro III perseguitato dal suddetto Imperatore Barbarossa, fuggendo da Roma per recarsi in Francia nel 1166, passò da S. Pellegrino in tempo che si fabbricava la chiesa, cui concasse indulgenza plenaria pei mesi di maggio e di agosto. II Paolucci conferma questa notizia, e solo differisce nell'epoca, stabilendo il passaggio nel 1177; ma il Pacchi con altri storici portarono molte ragioni per dover negare il fatto, asserendo esser positivo che quel Pontefice partendo da Roma per recarsi in Francia, viaggiò per mare fino a Genova, ove giunse il 21 gennaio 1162; e nel ritorno arrivò a Messina e sbarcò poi a Ostia il 20 novembre del 1165 riducendosi a Roma il dì

(1) In una carta del 1281 pubblicata dal Muratori sono segnati i patti scambievoli fra i Comuni di Modena e di Lucca riguardo alla manutenzione della strada stessa pel reciproco commercio.
(2) Dodici iugeri.
(3) Ciò risulta da istrumento rogato nel 1336, da Pietro di Giovanni da Monte-Stefano, esistente nella Cancelleria della Repubblica Lucchese (Pacchi).


seguente. Ad onta di ciò, questo fatto (sebbene senza indicazione dell'epoca) si trova riferito nella seconda Lezione dell'Uffizio di S. Pellegrino in un codice in pergamena, se non anteriore certo non posteriore al secolo XIII (1).

Si è molto quistionato dal Muratori e da altri se il confine fra la Repubblica di Lucca ed il Modenese fosse sulla cima dell'Appennino o presso l'antico Ospedale, ma è positivo che fino dal suddetto anno 1168 questo apparteneva alla Diocesi lucchese, come risulta dalla Bolla di Papa Alessandro III, diretta al Pievano di Pievefosciana sotto il giorno 23 dicembre di detto anno; e come del pari risulta dal registro di Cencio Camerlengo dei Censi della Chiesa Romana fatto nell'anno 1192, in cui l'Ospedale di S. Pellegrino dell'Alpi, soggetto al Vescovo di Lucca, era tassato di 3 oboli d'oro (2) e di 4 libbre di cera. Di altrettanto fanno fede eziandio diversi istrumenti del 1284, 1286 e 1288, rogati parte nell'Ospedale stesso per mano di Rolando notaro pubblico di Castiglione, parte in quel Castello dal notaro medesimo, e da un altro per nome Lanfredo di detto luogo. Tali strumenti concernono le vendite di alcuni beni dell'Ospedale di S. Pellegrino esistenti a Lucca, che furono acquistati da quei PP. Domenicani. Anche nella descrizione delle chiese di Comunità e Diocesi lucchese tassate di decime per la crociata, vedesi lo Spedale di S. Pellegrino cum cellis quas habet nella Provincia di Toscana, libbre 200.

Finalmente in un libro del 1260 in cui per ordine del Vescovo di quell'epoca Enrico I (3) sono scritte le stime delle possessioni ed averi della sua Diocesi, vi si legge sotto la Pievefosciana anche il suddetto Ospedale di S. Pellegrino.

Ciò nullameno, per quando la chiesa e lo Spedale fossero di fatto nel possesso dei Lucchesi, pure nell'anno 1216, i Modenesi recaronsi in quel luogo a ricevere il Re Arrigo figlio di Federigo II, che dalla Toscana passava in Lombardia, asserendo (come risulta da un istrumento del 1336, rogato da

(1) II titolo di detta Lezione è il seguente De inventione ejus sacri Corporis, et Indulgentia ipsius Dedicationis. Il codice suddetto trovansi nella Biblioteca di Bernardino Baroni di Lucca (Pacchi, Dis. XI.).
(2) L'obolo d'oro equivaleva ad un fiorino d'oro, come asserisce Giovanni Cabrospini scrittore del secolo XIV, citato dal Muratori, Antichità Italiane.
(3) Enrico I. della casa Rolandinga fu il 63.° Vescovo lucchese, eletto nel 1256 e morto nell'ottobre del 1269.
Pietro di Giovanni da Montestefano, esistente nel R. Archivio di Stato in Lucca) esser quello il confine giurisdizionale di Modena.

In una pergamena del 1286, esistente nell'Archivio suddetto che già appartenne ai PP. di S. Romano, vedonsi i nomi dei frati che a quell'epoca erano a S. Pellegrino nell'ordine seguente.

1. Bonaccorso Rettore, Amministratore e Maestro dello Spedale di S. Pellegrino dell'Alpe. 2. Fra Pellegrino. 3. Fra Guicciardino. 4. Fra Gemignano. 5. Fra Pietro. 6. Fra Marano. 7. Fra Guglielmo. 8. Fra Parmesano. 9. Fra Marco. 10. Fra Bergo. 11 Fra Jacopino. 12. Fra Aldebrando. 13. Fra Lucio. 14. Fra Landuccio. 15. Fra Baruffo. 16. Fra Gherardo. 17. Fra Guidiccio. 18. Fra Lucarello.

Questi adunati in capitolo eleggevano e costituivano altri due conversi, cioè, Fra Bernardino e Fra Giovanni, Sindaci ed attori dello Spedale. Da una prece dei medesimi umiliata a Papa Nicolao IV risulta che nel 1288 erano in numero di 21.

Esistevano ancora nell'anno 1384, e nelle carte dell'Archivio Arcivescovile di Lucca vedonsi ordini a quei frati di questuare pel pio luogo, non solo per la Lombardia e per la Toscana, ma per la Marca di Ancona, per la Romagna, e per sino nella Sicilia, a condizione che rendessero esatto conto al Camarlingo dello Spedale delle questue fatte. Essi ricevevano ed assistevano i passeggieri che transitavano per quella strada, o visitavano il santuario.

Nei tempi posteriori però è incontrastabile, che del territorio di S. Pellegrino fu data investitura in termini distinti da quella del rimanente della Garfagnana, al Marchese Niccolò III d'Este dall'Imperatore Sigismondo nell'anno 1433; confermata il dì 11 novembre 1509 da Massimiliano I al Duca Alfonso I. In ambedue gli atti relativi si legge: Terra e territorio chiamato di S. Pellegrino delle Alpi fra le città di Modena e di Lucca. Allo stesso Alfonso I ne fu rinnovata la conferma da Carlo V il 5 ottobre 1526; e sotto il 17 decembre 1535, al Duca Ercole II. Fu per ciò stesso che ai Duchi Estensi appartenne mai sempre l'approvazione del Rettore pro tempore dell'Ospedale in discorso.

Intanto la chiesa dopo essere stata migliorata nel 1166, come dice il Mansi (egli scrive riedificata, ma nulla indicandone la caduta, è a ritenersi fosse migliorata, risarcita ec.)

rimase per qualche tempo quasi abbandonata a causa di pestilenze e di guerre, fintanto che Leonello figlio di Jacopo dei Conti De' Nobili di Castiglione, allora Rettore di S. Pellegrino ed Abbate di Frassinoro, la fece restaurare, e probabilmente ampliare, nell'anno 1462, e vi pose la seguente iscrizione.

HOC OPUS FECIT FIERI DOMINUS LEONELLUS OLIM D. JACOBI DE CASTILLIONE GARFAGNANAE ABBAS DE FRASSINORO ET S. GEORGII DE LUCA PRAEPOSITUS NEC NON RECTOR S. PEREGRINI DE ALPIBUS FACTUM DIE PRIMA AUGUSTI 1462.

Fu allora che la famiglia De' Nobili ottenne da Papa Pio II, nell'anno 1464 il giuspatronato perpetuo della chiesa e dell'Ospedale in discorso, e dei beni che ne formano le proprietà. Il primogenito della medesima è de jure Rettore di S. Pellegrino (quantunque secolare) come apparisce da un breve Pontificio che si conserva presso la famiglia stessa, la quale essendosi in oggi diramata in altre due, il diritto di giuspatronato passa dall'una all'altra con certe regole fra loro determinate.

Jacopo figlio di Benedetto De' Nobili nipote di Leonello, nel 1472 successe allo zio come Rettore, e fece costruire un'urna di marmo ove depose le reliquie del Santo colla seguente iscrizione.

JACOBUS DE NOBILIBUS LUCENSIS DOCTOR EQUES ET COMES AC HUJUS HOSPITALIS RECTOR NATIONE TUSCUS PATRIA LUCENSIS QUI IPSE VIVENS TIBI O BEATISSIME PEREGRINE BENEMERITO HOC INSIGNE MARMOREUM SEPULCRUM SUPERIS FACENTIBUS POSUIT.

Come Leonello fu riconosciuto nell'accennata sua qualità di Rettore di S. Pellegrino dal Duca Ercole I con privilegio del 21 ottobre 1471, così pure ne fu approvato il nipote di lui Jacopo dallo stesso Sovrano il 3 gennaio del l472; e poscia d'Alfonso I sotto il primo dicembre 1506.

Quello Spedale fu arricchito di grosse rendite da diversi Principi e Signori, ma molte memorie a ciò relative sono andate smarrite.

Antiche vertenze relative ai confini della Garfagnana fra Modena e Lucca, non solo per S. Pellegrino, ma per altri luoghi eziandio, erano state agitate presso il Consiglio Aulico di Vienna; e ritornarono in campo nell'ottobre del 1731. Per accordo procurato fra le parti, col mezzo del Cardinale Grimaldi, allora Nunzio presso l'Imperatore d'Austria, fu rimessa la cosa all'arbitraggio del Cardinal Petra a Roma. Nell'Archivio Lucchese trovansi tutti gli atti relativi presentati al Consiglio Aulico
dalla Repubblica contro il Duca di Modena, e quelli da questo esibiti nel 1731. La supplica dei lucchesi all'Imperatore introduttiva del giudizio porta la data del 28 giugno 1729, e la fine del medesimo fu la petizione per proroga del 22 gennaio 1732, che poi restò indefinita. Era Procuratore della Repubblica Filippo Lippi lucchese, il quale scrisse analoga allegazione a sostegno delle ragioni della medesima nel 1733, convalidandola con documenti.

Altre scritture furono pure esibite al suddetto Cardinale Petra per parte del Duca di Modena, per provare i suoi diritti sulla strada di S. Pellegrino ed i luoghi di Roncagliana, Bieri, la Custia, e Fiume in quelle montagne. Nel 1734 il Cardinale Petra, mediatore, emetteva la sua decisione quanto al primo e secondo capo della vertenza, cioè relativamente alla chiesa di S. Pellegrino, allo spedale, alla osteria ed alla piazza. Ma non si acquietarono a questa decisione i lucchesi; ed il suddetto Procuratore Lippi produsse altra scrittura in replica a favore dei medesimi.

La controversia rimase per qualche tempo sospesa: ma nell'anno 1740 venne suscitata di nuovo. Da un memoriale dell'Offizio del 31 agosto di detto anno risulta, che la mediazione del Cardinal Petra era riuscita molto sterile: lo che equivale a dire che nulla erasi concluso (1).

Il Rettore di S. Pellegrino (che generalmente è secolare) ha obbligo di tenervi un Cappellano costantemente, il quale, come si è detto, doveva essere approvato dal Governo di Modena. In prova di ciò Monsignor Arcivescovo di Lucca Filippo Sardi il 12 settembre 1818, si dirigeva al Governatore della Garfagnana pregandolo, a nome del Conte Ippolito De' Nobili Rettore, a provocare dal Sovrano l'approvazione alla nomina del sacerdote Angelo Morelli, in sostituzione dell'altro Cappellano che vi esisteva.

II Governo Modenese poi per diritto di giurisdizione soleva tenere una guardia di cento uomini in S. Pellegrino durante il mese di agosto, ed il Podestà di Montefiorino vi si portava ad aprirvi la fiera, e ciò a tutte spese di quello Spedale. Nell'agosto del 1819 il suddetto Rettore ricorse al Duca esponendo che, dopo la unione del territorio Castiglionese al Ducato di Modena, era cessata la causa di questo gravissimo peso, per cui

(1) Archivio Lucchese; Offizio sopra le Differenze, N. 533-534.

ne chiedeva la esonerazione; ma Francesco IV rispose doversi tener ferme le antiche consuetudini fino a nuov'ordine (1). Non soddisfatto il 'Conte Ippolito replicò il ricorso, corroborandolo di più incalzanti ragioni. Fu allora che il Duca gli fece chiedere in quale uso di pubblica beneficenza intenderebbe erogare quelle somme che fino a quell'epoca erano destinate all'uopo sovraccennato, non dovendosi convertire a vantaggio privato; e nel tempo stesso chiese informazioni accuratissime sulla erogazione dei diversi vistosi redditi che impiegarsi dovevano per l'alloggio e mantenimento dei tanti pellegrini e passeggieri, che continuamente affluivano a quell'insigne santuario (2). A ciò fu risposto dal Conte De' Nobili, ma ad onta delle sue deduzioni, il 15 luglio 1822, il Governatore di Modena avvertiva quello della nostra Provincia che, dovendosi provvedere al mantenimento del buon'ordine durante la fiera di S. Pellegrino, anche per quell'anno in via provvisoria, e fino a tanto che non fossero fissate massime stabili, senza pregiudizio dei diritti competenti alla Comunità di Montefiorino ed al Governo, dovessero intervenire quel Sindaco con quindici soldati ed un uffiziale, cui il Rettore, oltre al consueto trattamento di vitto ed alloggio, dovesse dare due Francesconi (L. 11.20) al Sindaco e tre (L. 16.80) all'Ufficiale a titolo d'indennità pei mezzi di trasporto (3). Altrettanto venne praticato negli anni successivi fino al 1827 inclusive. Fu allora che il lodato Conte Ippolito De' Nobili, eccitato dal Governo Estense, incaricò il Canonico Professore Don Pietro Raffaelli di Fosciandora a trattare col medesimo per la sistemazione della vertenza relativa alle retribuzioni che in occasione della fiera di S. Pellegrino star dovevano a carico di quello Spedale.

Aperte le trattative, fu in fine convenuto che il Rettore pro tempore a sgravio dei precedenti suoi obblighi tanto pel mantenimento della truppa, quanto pel vitto ed alloggio dell'Autorità Civile di Montefiorino, dovesse corrispondere a quel Comune Ital. L. 80 all'anno, cominciando dallo stesso 1829, in occasione dell'apertura della fiera di agosto (4). Il Governo approvando simile transazione volle che il Rettore assumesse

(1) Lettera del Governatore di Modena 20 agosto 1819. Archivio Governativo di Castelnuovo.
(2) Lettera del suddetto 13 giugno 1820. Archivio suddetto.
(3) Atti Governativi N. 6020, del 1822. N. 1135 del 1823. (4) Dispaccio del Governatore di Modena, 17 luglio 1829.

sopra di sé il carico di corrispondere l'accennata somma annua ripartita fra quei poveri che avessero presentato ad un suo Commesso (che poteva essere anche il -Cappellano) dei Boni a stampa valevoli ciascuno per una elemosina di centesimi 50; per la quale potevano poi conseguire anche dallo stesso incaricato, a prezzo ragionevole, quelli alimenti più comuni che loro potessero occorrere; e ritenuto in oltre che il Rettore stesso dovesse soddisfare tutti gli altri obblighi di ospitalità, ricovero ed alimento che sono prescritti dalla originaria fondazione del Benefizio di S. Pellegrino. Quei Boni poi in numero di 160, dovevano emettersi da un apposito .Delegato della Comunità di Montefiorino, cui dal Rettore o dal suo incaricato dovevano ritornarsi a fin d'anno, calcolando il più ed il meno, a seconda del numero dei presentati, per versare in caso di differenza nella cassa di quel Municipio. Il Conte Nobili accettò la transazione così formulata; e munitala della propria firma fu dal Governatore inviata a Modena il 23 luglio dello stesso anno 1829 (1).

Nel 1835 essendo insorta questione fra il Rettore di S. Pellegrino ed il Municipio di Castiglione per le legna occorrenti allo Spedale, il Duca Francesco IV, con decreto del 7 luglio di detto anno decise, che il Comune non dovesse alineare nè la proprietà, nè l'uso dei suoi boschi; ma bensì fosse obbligato ad assegnare di mano in mano quella quantità di legna occorrente al servizio dello Spedale, a fronte di pagamento.

Da un rapporto del Sindaco di Castiglione del 27 settembre 1849 rilevasi che il Rettore pro tempore di S. Pellegrino col prodotto dei beni stipendia un Amministratore generale, un Sottofattore in Castiglione, uno scritturale o computista in Lucca, il Cappellano al Santuario, un domestico pe' suoi giornalieri servizi, un uomo ed una donna pel servizio dell'Ospedale, e per provvedere a tutte le relative occorrenze.

Oltre agli accennati stipendi sostiene le seguenti gravezze:

Col mezzo del suo amministratore il 2 novembre di ogni anno distribuisce del pane a tutti i poveri che si presentano alla sua abitazione.

Riceve nell'ospizio di S. Pellegrino tutti i poveri pellegrini e passeggieri, dando loro il comodo di far da mangiare, e somministrando il sale, e gli utensili necessari. Oltre a ciò sono a

(1) Atti Governativi, N. 5234.

disposizione numero sei letti, cioè 3 per gli uomini e 3 per le donne.

Durante il mese di agosto mantiene 4 Confessori, ed un inserviente per la chiesa e sagrestia.

Paga le pubbliche contribuzioni per tutti i possessi dello Stabilimento.

Passa una pensione vitalizia annua di Italiane L. 450,47 al Sig. Giacomo Ottavio De' Nobili di Lucca.

Supplisce alla spesa di due feste annue, l'una il primo d'agosto nell'oratorio di Gragnano di Lucca, e l'altra il 29 dicembre nell'oratorio del villaggio di Marcione (1).

E' a tutto carico del Rettore il mantenimento della casa padronale in Castiglione, e de' fabbricati appartenenti all'Ospedale medesimo.

Anche mentre io scrivo, il giuspatronato di S. Pellegrino è retto dal Conte Federigo del fu Conte Ippolito De' Nobili.

In ogni tempo visitarono il Santuario persone di ogni ceto; ed ogni anno nel mese di agosto vi è grandissimo concorso di forestieri. Fino al 1859 ogni tre anni una confraternita numerosissima partiva da Lucca recandosi alla venerazione di S. Pellegrino; dandone costantemente avviso al Governatore della Provincia, il quale disponeva affinchè ovunque fosse ricevuta e trattata coi riguardi che le erano dovuti.

In oggi il villaggio di S. Pellegrino si compone di numero 7 case, oltre la chiesa, con 68 abitanti, divisi in 8 famiglie, che fanno parte della popolazione di Chiozza.


VALBONA


Nell'Alpe di Castiglione, lungo il fiume detto Esareolo, al disotto dell'Appennino delle Radici e di S. Pellegrino, avvi un'altra Cura denominata Valbona, dipendente dalla Parrocchia di S. Pietro del Castello. Sull'una e sull'altra sponda del fiume sono sparse 81 famiglie con 113 alloggiamenti e capanne per loro e pei molti bestiami che vi si custodiscono; con 441 abitanti. Essi sono per la massima parte coloni di proprietari che possiedono vasti terreni in quelle località, le cui principali risorse sono la pastorizia e le castagne. Un pessimo sentiero vi guida attualmente dal capoluogo, ma il Municipio vi fa

(1) Vedi pag. 219.

costruire una comoda strada cui si lavora alacramente, e che verrà presto compita; la quale sarà in parte praticabile coi ruotabili, e faciliterà così il trasporto dei legnami provenienti da quell'estesissime foreste di castagni e di faggi, ove rimanevano fin qui inoperosi, e quasi inutili.

Visitando S. Pellegrino, ed osservati da quelle alture alla meglio i casolari di Valbona, discenderemo per la via Vandelli, e dopo poco saremo sul monte di Chiozza, anticamente denominato la Selva nera, di cui andiamo a parlare.


CHIOZZA


Diversi gruppi di case ed altre sparse qua e là per la montagna che sovrasta a settentrione Pievefosciana ai fianchi dell'Appennino, ove scorre l'antica strada Vandelli per S. Pellegrino, formano la frazione di Chiozza, a levante di Castiglione capoluogo del suo Comune, da cui dista circa 4 chilometri.

In tempi non molto remoti quei luoghi erano incolti, e piccolissimo era il numero della popolazione; ma andò crescendo col prendere quelle robuste montanare a nutrire dei gettatelli dagli Ospizi di Lucca e di Pisa, de' quali la maggior parte cresciuti si trattennero sul luogo, e vi formarono altrettante famiglie.

La cosa andò tant'oltre, che il Governo Estense fu costretto porre un freno a questa importazione di esposti, e con decreto del 10 agosto 1837 ordinò al Municipio di Castiglione di non permettere agli abitanti di Chiozza di ricevere per l'avvenire figli dell'Ospedale di Pisa, e di riconsegnare entro otto giorni quelli che tenevano in custodia, tanto più che giunti ad una certa età eransi dati a disturbare sulla pubblica strada i passeggieri che si recavano a S. Pellegrino e nel Frignano. Questo termine peraltro fu prolungato a tutto lo stesso anno 1837 a preghiera del Commissario dei RR. Ospedali di Pisa; quantunque il Sindaco pregasse il Governo a revocare l'ordine emesso, asserendo che dalla mancanza di questa industria il Comune aveva una perdita dalle L. 26 alle 30,000, a tanto corrispondendo ciò che ritraevano le tenutarie (1). A

(1) Atti Governativi N. 6145 del 1837.

quell'epoca di fatti si tenevano nella frazione di Chiozza numero 74 esposti soltanto dello Spedale di Pisa.

Quel monte, ch'era coperto di castagneti e di boschi, è ora assai ben coltivato e produttivo. Una piccola chiesa sotto il titolo di S. Bartolomeo esisteva fino dal 1168 ed è fra quelle nominate nella Bolla di Alessandro III e soggette al Pievano di Pievefosciana. Fu poi aggregata a quella di San Pietro di Castiglione nel 1391, ed ingrandita nel 1828 e nel 1830; e finalmente ultimata nell'anno 1846 mediante diverse somme elargite dal Duca di Modena Francesco IV.

Alcuni opinano che l'antica chiesuola fosse eretta (insieme con un Castello che vi esisteva) dalla Contessa Matilde; ma nulla troviamo che confermi tale opinione. Il punto ov'è collocata è elevato metri 925 sul livello del mare. Un Cappellano Curato, dipendente dal Priore di S. Pietro di Castiglione, abita presso la chiesa, e provvede alla cura spirituale di quella popolazione, la quale ascende a 1260 abitanti, divisi in 175 famiglie, ricoverate in altrettante case.

Alla base del monte di Chiozza incontrasi sulla strada Vandelli il Villaggio di Campori.


CAMPORI


E' posto sulla sinistra dell'Esareolo, alla distanza di circa un chilometro di strada ruotabile al nord da Pievefosciana, e a due dal suo capoluogo. E' composto di sole 18 case con 30 famiglie e 180 abitanti. Dipende dalla parrocchia di S. Michele del Castello, ed ha nel suo centro un Oratorio sotto il titolo di Santa Maria. Il Repetti ritiene esser quello stesso fondato nel 773 da prete Gandualdo nei suoi possessi in loco Castronovo in Vico Campolo; ma noi siamo d'avviso che la chiesa del Vico Campolo fosse quella di cui abbiamo diffusamente parlato nella descrizione di Castelnuovo (pag. 54). Ed in tale opinione ci confermano altre carte degli anni 740, 839, e 986, nelle quali è rammentato il Vico Campolo nel distretto di Castelnuovo.

Trassero i natali nel piccolo paesello di cui parliamo i genitori del Cardinale Pietro Campori, che fu Vescovo di Cremona, i quali passarono ad abitare a Castelnuovo sul principio del secolo XVI, portando seco per casato il nome della

loro patria d'origine. Il Cardinale ebbe diversi fratelli, ma uno solo per nome Giov. Battista lasciò successione, e fu padre di Pietro Marchese di Soliera, da cui discende la nobile famiglia dei Marchesi Campori che anche attualmente fiorisce ed illustra la città di Modena e l'Italia nostra.

Nei tempi trascorsi gli abitanti dei villaggi di Campori e Marcione, essendo sulle due sponde dell'Esareolo, avevano l'onere di mantenere un ponticello di legno per transitare quel fiume ed erano in compenso esonerati dalla prestazione delle opere gratuite, dette comandate, a favore della Comunità, alle quali andavan soggetti tutti gli abitanti della medesima dai 18 ai 60 anni. Soltanto nel 1824 ne furono dispensati per Decreto Governativo (1). Ed ora nella medesima località sorge un bel ponte in macigno costruito sul disegno dell'Ingegnere Malaspina quando fu aperta dal Governo Estense la via delle Radici.

Per compiere la visita del Comune di Castiglione restano ancora i due paesi di Piano di Cerreto e di Mozzanella, ai quali ci condurremo comodamente mettendoci sulla nuova strada che da Pontardeto porta a Villa Collemandina.


PIANO DI CERRETO


In amenissima posizione su di una ridente collina, fra il fiume di Castiglione a levante, e quello di Corfino a ponente, sorge il piccolo paese denominato Pian di Cerreto, al di sopra e al disotto del quale distendesi una fertile pianura, che a settentrione confina coll'altra di Villa Collemandina, ed a mezzogiorno colla strada che guida a S. Romano. Gode a ponente della bella vista di tutta la catena delle Alpi Apuane e del Serchio, che scorre alla base del colle su cui giace il paese, formato da 24 case unite con 23 famiglie e 131 abitanti. Avvi una piccolissima chiesa curata dipendente dal Rettore di S. Michele di Castiglione, troppo angusta per altro al bisogno di quel popolo, il quale conta 235 anime, computate eziandio le famiglie sparse per la campagna dipendenti da quella Cura. Un altro Oratorio di proprietà della famiglia Rossi fu aperto al pubblico culto il di 1.° ottobre dell'anno decorso 1878.

Questo bel paesino, adattatissimo per ridurvi amene villeggiature, dista circa tre chilometri da Castelnuovo, e 2,500

(1) Atti Governativi 20 gennaio 1824, N. 2495.

da Castiglione, cui si unisce per mezzo di un pessimo sentiero impraticabile persino con bestie da soma; al quale inconveniente sperasi veder presto provvisto dalla saggezza e giustizia del Municipio.

Proseguendo il cammino al di sopra della Terra, sempre sulla via di Villa Collemandina, e poco dopo volgendo a sinistra si scende nel fiume di Corfino, ove incontrasi un piccolo ponticello di legno, varcato il quale risalendo sulla sponda destra saremo al piccolo paese di Mozzanella.


MOZZANELLA


Contiene esso sole 18 famiglie, con 21 alloggiamenti e 107 abitanti. Dista dal suo capoluogo di Comune 3 chilometri, ed un brutto e pericoloso sentiero ve lo congiunge.

A Mozzanella esisteva in antico un Eremo di Agostiniani (come ricavasi dagli atti dell'Archivio arcivescovile di Lucca) sotto il titolo di S. Salvatore, del quale nel 1247 era Priore un cotale Frediano, e nel 1251 un Fra Mauro che intervenne al Capitolo Generale. Nell'anno 1260 questo Eremitaggio era gravato di L. 12 di decime e la sua chiesa trovasi nella nota di quelle soggette a Pieve Fosciana; poco dopo venne soppresso coll'altro di Chifenti (1) ed unito al Monastero degli Agostiniani di Lucca. A quell'epoca la chiesa dell'Eremo stesso di Mozzanella fu eretta in Parrocchia, e la nomina del Rettore fu devoluta a quel Popolo (2).

Il territorio, sebbene piccolo, è assai fertile vegetandovi benissimo anche la vite; ma nulla vi si trova che richiamar possa l'attenzione del viaggiatore.

(1) Piccolo paese poco al disotto dei Bagni di Lucca.
(2) Atti Governativi, N. 719 del 1838.



Nessun commento:

Posta un commento