Raffaello
Raffaelli
Descrizione geografica storica economica della
Garfagnana
Lucca,
1879
COMUNITA'
DI CASTIGLIONE
Le
terre che la compongono, oltre il capoluogo, sono Marcione,
Cerageto, S. Pellegrino, Valbona, Chiozza,
Campori, Pian di Cerreto, e Mozzanella, aventi
765 case, 637 famiglie, e 3526 abitanti. Confina a levante ed a
mezzogiorno con quella di Pievefosciana, a ponente coll'altra di
Villa Collemandina ed a settentrione colla Provincia di Modena per
una linea di chilometri 10,297 (1).
I
prodotti de' suoi terreni nella parte inferiore sono uguali presso a
poco a quelli degli altri paesi già descritti; ma nella superiore la
principale risorsa consiste nelle castagne e nel bestiame, di cui si
hanno in tutto il Comune ben 3000 capi. Difatti le vaste pendici e le
cime dell'Appennino sono coperte di estesi castagneti, di boschi di
faggi di alto fusto, e di stupendi pascoli per le vacche e le pecore,
che danno latte squisito, e quindi eccellenti formaggi e ricotte.
In
quelle vaste boscaglie nel secolo XVI eranvi ancora degli orsi, come
ne fa fede la lettera seguente, scritta dal Duca Ercole II, il 25
agosto del 1550, al Dott. Niccolo Zanelli da Lugo Commissario della
Garfagnana.
(1) II confine del Comune di
Castiglione si parte da Montalbano, e con una linea quasi orizzontale
traversa quello di Pievepelago, Provincia di Modena, nei luoghi
denominati il Diaccio de' Ladri, la Bocca Bella, la Bocca del
Fornello, e il Cardosello; quindi con una curva entra nelle terre di
Frassinoro, e scende per la Costa del Landi fino al territorio di
Fontanaluccia e Mistioso, e si distende, salendo il Girone, fino al
Giovarello. Da quel punto con dolce pendenza va in quel di Gazzano, e
pel monte delle Forbici Vecchie e Nuove raggiunge la Marinella. E qui
volgendo a ponente si unisce alla Comunità di Villa Collemandina con
una discesa irregolare fino al fiume di Sassorosso e quindi risale
all'altezza di quel paese. Tocca poi la Marina, la Frana, il Colle di
Cesa, il Monte Alto o Colle di Prato, il monte di Val di Luce o delle
Vetrici, il monte Aquilato o Val di Forca, il Prunaccio a 1100 metri
sul mare, il monte Sopello, il
«Questa venuta
nostra in Garfagnana sarà, piacendo a Dio, alli otto o dieci del
mese che viene: havressimo charo di vedere una cazza de' orsi, li
quali intendemo che in questi tempi delle uve discendano dalla
sommità delle Alpi; et perché avemo inteso che a quelle bande ve se
ne trova, et in gran copia, et che vi sono cazzatori a posta per
simile exercitio, et massime a Castiglione, castello dei Signori
Lucchesi, volemo che facciate cercare in quei dintorni li
circonvicini se vi fosse comodità di fare una cazza in questa nostra
venuta, alla quale potessimo avere spasso, et che sopra tutto se vi
potesse andare a cavallo, et per tale effetto manderete su le Alpi di
S. Pellegrino et in tutti quei contorni, facendo usare ogni possibile
diligentia perché ne sia posta una all'ordine se si potrà,
acciocché quando saremo per quelle bande la trovamo in essere. Et
tanto exeguirete. Bene valete. Hercules Dux Ferrariae (1)».
Le grandi macchie e le pasture,
che abbiamo accennato, sono in gran parte di proprietà del Comune.
Oltre di queste, possiede il Palazzo Municipale, il Casone di
Profecchia sulla via Nazionale (2), e diversi molini dati ad
enfiteusi; sicché i suoi redditi patrimoniali ascendono a L. 5100
all'incirca, somma che
Crociale di Saldaia, il monte
Medicina, e la prima e seconda parte del monte Castro. Da Sassorosso
poi, passato il Rio di Val di Forca, va con giro obliquo al monte di
Notte, e discende a Catacciano, e Carpineta. Traversato quindi il
canale di Pian di Cerreto, raggiunge il fiume di Mozzanella, e con
una curva assai pronunziata tocca il colle della Piella, entrando
così nel Comune di Pievefosciana, dopo aver percorso un tratto di
chilometri 12,705. Di qua piegando a mezzogiorno, e drizzandosi
poscia a levante, gira largamente sotto Pian di Cerreto, tocca
Pontardeto all'ala destra del Ponte, e serpeggiando lungo il fiume di
Castiglione monta nei dintorni di Campori, e si dirige al Ponte del
Sillico, ove risalendo sulla destra il corso del fiume torna a
congiungersi al punto di partenza sul Montalbano con una linea di
chilometri 19,080.
Chi
bramasse notizie più dettagliate sugli antichi confini a nord e
ovest della Comunità di Castiglione, non avrebbe che a consultare i
documenti relativi dell'Archivio di Stato Lucchese, dai quali
sappiamo che nel giorno 23 agosto del 1491 furon collocati i termini
che la separavano da quella di Massa-Sassorosso; e che il 27
settembre si venne, per lo stesso motivo, ad un amichevole accomodo
con Mistioso, e Fontanaluccia, allora denominata Fontana Lucia.
(1) Archivio Governativo di
Castelnuovo.
(2) Quel fabbricato erasi eretto
dal Governo di Modena negli anni 1845-46 per comodo dei lavoranti
quando costruivasi la strada delle Radici. Fu poi posto in vendita
dal Demanio, ed acquistato dal Municipio di Castiglione il 6 giugno
del 1872 per ital. L. 3725. Dista dal Castello chilometri 17,60, ed è
alto metri 1350 sul livello del mare.
poche
Comunità del nostro Circondario possono raggiungere, e che
diverranno sempre maggiori con una buon'amministrazione, in grazia
del forte aumento dei prezzi de' legnami e del combustibile.
In antico amministravasi da un
Parlamento di 60 individui, che si adunavano diverse volte l'almo per
provvedere ai pubblici bisogni. E alle decisioni di codest'Assemblea
si debbono i Legati Pii che anche attualmente vengono soddisfatti a
carico del Municipio. Come documenti della Religione de' nostri padri
li accenneremo.
1. Festa annuale di S. Paolo (30
giugno) nella Chiesa di S. Pietro (1).
2. Festa de' SS. Fabiano e
Sebastiano (20 gennaio) (2).
3. Festa di S. Paolino Vescovo di
Lucca (12 luglio) (3).
4. Festa di S. Rocco (16 agosto)
(4).
5. Festa di Sant'Anna (26 luglio)
nella chiesa di S. Michele (5).
6. Festa di S. Pellegrino (1
agosto) (6).
7. La prima Domenica poi di
gennaio devesi offrire, inter Missarum solemnia, in perpetuo alla
Vergine del Rosario 10 scudi da Cappelloni 25, ossiano Ital. L.
23.40; e provvedere per cinque sere consecutive a quanto occorre alla
esposizione del Venerabile, per le quali funzioni somministra 3 libre
e mezzo di cera ed una d'incenso (7).
8. Il 6 marzo deve cantarsi una
messa all'altare della Vergine stessa (8).
Come possesso lucchese Castiglione
aveva l'Estimo del 1803; ma venne poi riformato sulle basi di quello
del rimanente della Garfagnana nel 1819, quando il Duca di Modena
Francesco IV prendeva in affitto quella Comunità per l'annuo canone
d'Ital. L. 16,000 (9).
(1) Decreto del Parlamento 18
giugno 1474. Lib. de' Parlamenti; fogl. 74, carte 171.
(2) Idem, 18 settembre 1463.
(3) Idem, 15 luglio 1498. Fogl.
108.
(4) Idem, 10 marzo 1531. Carte 23.
(5) Idem, 16 agosto 1602. Fogl.
252 e 253.
(6) Idem, Idem.
(7) Idem, 20 gennaio 1631. Carte
41.
(8) Idem, 6 marzo 1741.
(9) Nell'Archivio Lucchese esiste
un antico Estimo di Castiglione del 1443; cui va unito un quadernetto
del secolo XVI contenente l'estratto di altro Estimo del 1392.
La
sua rendita imponibile coll'attuale Catasto è di scudi 30,577.21; ed
i contribuenti sono 678.
Il Bilancio Comunale per l'anno
1877 porta i seguenti estremi:
1. Entrate ordinarie …………………..
L. 8806.57
2. Spese ordinarie…………………….
" 9970.75
3. Differenza in meno………………..
" 1164.18
4. Sovraimposta . ……………………
" 6915.82
Essendosi poi rinnovata la
Esattoria, come negli altri luoghi, la somma presunta dalla Finanza
per la riscossione annua è di L. 35.457.61.
Gli elettori amministrativi
ascendono a 122, ed a 40 i politici.
Avvi una scuola maschile e due
femminili, oltre diverse altre, dette paterne, nei paesi
circonvicini.
Tre sono le strade principali che
traversano il territorio Castiglionese, cioè:
1. La nazionale Livorno-Mantova,
che fronteggia gran parte del Castello, e prosegue per l'Appennino,
ove raggiunge la Foce delle Radici, dopo 24 chilometri.
2. La mulattiera, che da Campori
pel monte di Chiozza guida a S. Pellegrino, aperta nel 1750
(coll'intendimento che fosse ruotabile) e denominata dall'Ingegnere
che la ideò si malamente Strada Vandelli. Ha essa una lunghezza di
chilometri 15,500, partendo da Castelnuovo, e traversa l'Appennino
presso al primitivo varco apertovi nell'anno 1077, all'altezza di
metri 1627, sul livello del mare (1). Discendendo dalla parte
opposta, dopo breve tratto, raggiunge la nazionale in prossimità di
un luogo denominato i Fontanini.
3. La nuova ruotabile
obbligatoria, recentemente costrutta che staccandosi da Pontardeto
presso la sponda destra del fiume, raggiunge il confine della
Comunità di Villa Collemandina all'estremo settentrionale del piano
di Cerreto, ove dicesi alla Bottegaccia, ed arriva a quel capoluogo.
Per accedere da Pieve Fosciana a
Castiglione per la via nazionale, varcato appena il fiume a 4
chilometri da Castelnuovo, vedisi in faccia un piccolo villaggio che
si noma Marcione.
(1) Secondo la livellazione fatta
dal Colonnello Carandini di Modena
MARCIONE
Giace esso alla base della collina
su cui sorge il Castello, a circa 200 metri dalla strada nazionale,
varcato il fiume a ponente.
L'abbate Vincenzo Marchiò (1)
opina che questo villaggio traesse il suo nome dal Console Romano
Quinto Marcio, il quale nella guerra apuana dell'anno 568,
avviluppato dai nemici in quei luoghi angusti, ebbe a sostenere la
perdita di 4000 soldati, undici bandiere e tre insegne della seconda
legione; e quantunque si volesse tener celata tanta sconfitta, rimase
nonostante al luogo il nome di Marcio, ed in progresso di tempo
quello di Marcione. Altri invece ritengono che il luogo ove i Romani
furon battuti, colla uccisione del Console Quinto Marcio, fosse nel
versante opposto, nelle montagne vicine a Fosdinovo, e precisamente
nel luogo ove sorge il paese di Marciaso da Marcius coesus. E il loro
avviso è appoggiato alle parole di Tito Livio che dicono: Nam saltus
unde eum Ligures fugaverunt Martius est appellatus (2). A noi
sembrerebbe poter esser vere e conciliabili ambedue tali opinioni,
ammettendo che sotto Castiglione il Console toccasse la disfatta di
cui si parla, e che tentando salvarsi coi pochi avanzi del suo
esercito, si dirigesse verso la Lunigiana, punto più facile e più
vicino a guadagnarsi, colla strada fin d'allora esistente; e giunto
ove oggi sorge Marciaso, vi perdesse miseramente la vita per mano dei
Liguri Apuani. La intelligenza del cortese lettore darà al nostro
avviso quel peso che riterrà meritare.
Il villaggio di Marcione è
composto di sole 4 case, e di altrettante famiglie coloniche
appartenenti all'Ospedale di S. Pellegrino con 35 abitanti. Ivi
esiste un piccolo Oratorio, dipendente dal Parroco di S. Pietro di
Castiglione, ove si celebrava la Messa ne' dì festivi e s'insegnava
la dottrina ai fanciulli da un Cappellano provvisto coi fondi di S.
Pellegrino; ma oggi soltanto vi si celebra la festa del titolare S.
Tommaso Vescovo, con messa cantata il 29 dicembre, ed il patrono di
S. Pellegrino, Conte De' Nobili, vi fa distribuire annualmente due
mezzini (chilogrammi 26) di grano, ridotto in pane, ai poveri.
(1) II Forestiere informato delle
cose di Lucca; pag. 30.
(2) Hist. Rom. lib. XXXIX. Cap.
12. Repetti, Diz. Geog. Stor. della Toscana.
In quelle vicinanze
era pure la Villa detta di FabriO, di cui si fa cenno nella Bolla di
Papa Alessandro III del 1168; colla quale si assegnavano al Pievano
di Fosciana, fra gli altri, i diritti sulla Villa di Fabrio e
Marcione, e sulla chiesa di S. Quirico di Fabrio. E se è vero (come
risulta dalla nota delle chiese della Pieve Fosciana del 1260) che
l'attuale Oratorio esistente in Marcione portasse in antico il titolo
di S. Quirico, potrebbe con molta probabilità dedursene che Fabrio e
Marcione formassero una sola Terra o almeno fossero molto vicine, e
che il nome della Villa di Fabrio sia andato in dimenticanza. Un
incendio avvenuto or sono molti anni nell'Archivio Comunale di
Castiglione ci toglie il mezzo di rintracciare maggiori notizie su
tal proposito. Lasciato a sinistra questo piccolo villaggio, posto in
fertilissima campagna assai pianeggiante, proseguiremo a salire la
bella collina Castiglionese colla strada nazionale, e dopo due
chilometri saremo a quel capoluogo. A mezza strada vedesi, a destra,
una colonna di pietra con sopra una piccola statuetta di marmo. Ivi
esisteva un'antica chiesa sotto il titolo di Santa Lucia, con
campanile veduto dai più vecchi di quei dintorni ancora viventi.
Quando nel 1836 si aprì una strada comunale per quella parte, vi fu
scoperto un tempietto sotterraneo, di forma rotonda, formato con
bellissimi conci di pietra arenaria, nelle cui pareti era un piccolo
sarcofago contenente lo scheletro di un giovane, con le braccia unite
con un anello di ferro (1). Il sito ove sorge quella colonna è di
dominio diretto della chiesa di S. Michele, e di utile della famiglia
Puccini di Castiglione, la quale è obbligata, per solenne
istrumento, a mantenervi la immagine di Santa Lucia, forse per
rammentare la esistenza in quel luogo dell'antica chiesa, che vi
lasciò il nome.
CASTELLO
DI CASTIGLIONE
È
questo un antico castello, sulla sinistra parte del Serchio, di
figura quadrilatera, munito di forti bastioni, torrioni, e di un
fortilizio che gli sovrasta a nord-est, divenuto oggi una deliziosa
proprietà del Cav. Antonio Vittoni di Castelnuovo.
Fino
da' più remoti tempi ebbe moltissime vicende per la
interessantissima posizione strategica. I Signori di Castiglione
Io stesso accorsi sul luogo a
vedere tale scoperta.
sono nominati nei
privilegi di Federigo I del 1185 e di Federigo II del 1242. Nell'anno
1014 Grimazzo o Grimizzo, Vescovo di Lucca, dette Castiglione in
feudo ai Nobili Gherardenghi, i quali poi ne furono espulsi dai
lucchesi, e ne perdettero il dominio (1).
Nel
1169 questo Castello con diverse altre terre della Garfagnana, fra le
quali il Comune di Ceserana, parteggiò pei Pisani, che vi spedirono
il loro Console Guidone Mercato con cento cavalieri, il quale poi al
momento di ripartirne vi lasciò un presidio, sotto il comando di
Veltro da Corvaia.
Offesa
oltremodo la Repubblica Lucchese per la ribellione di un Castello
ch'erale rimasto fedelissimo sino a quell'epoca, mandò a quella
volta ristesso suo Podestà, Beradigo da Bozzano, con buon numero di
truppa. Esso, fatta sosta per diversi giorni a Castelnuovo per
raccogliere altri soldati, mosse a darvi l'assalto. S'impegnò la
battaglia, in cui essendo eguale il valore la sorte rimase incerta
per diversi giorni. Finalmente arrise ai Lucchesi, che fatti molti
prigionieri, fra i quali l'istesso Veltro da Corvaia, vollero
vendicarsi distruggendo Castiglione quasi dalle fondamenta. La
popolazione spaventata si dette a fuggire, ed una parte si rifugiò a
Frassinoro, paese al di là dell'Appennino. In seguito poi delle
reiterate preghiere, fu ad essa concesso perdono, con facoltà di
ricostruire il Castello, con obbligo peraltro, insieme coi Signori
Gherardenghi (che avevano fomentata la ribellione) di giurare fedeltà
alla Repubblica (2). Dopo 57 anni, e precisamente nel 1226, ad
istigazione de' Pisani, Castiglione si ribellò nuovamente alla
Repubblica, la quale l'anno appresso nel mese di febbraio vi spedì
il suo Podestà con 500 fanti ed altrettanti cavalli, e cinto di
assedio il Castello, dopo sei giorni (sebbene vi fosse alta la neve)
lo riconquistò, e lo danneggiò molto col ferro e col fuoco (3).
Dopo le guerre che in seguito ebbero luogo, tornò in potere dei
I Gherardenghi trassero la loro
origine da Gherardo del fu Gottifredo, il quale vedesi nominato m un
istrumento dell'anno IX dell'Imperatore Ottone, con cui veniva
investito da Adalongo (38.° Vescovo di Lucca, che ne resse la
Diocesi dall'anno 968 al 977) di alcuni beni a Tiglio, ed a Pedona
nel Barghigiano. I Gherardenghi erano padroni anche della fortezza
della Verrucola, che per ciò stesso dicevasi Verrucola Gherardenga.
Anche i Barghigiani, sebbene non
fossero in quell'epoca ribelli ai lucchesi pure, come ne assicura il
Beverini, furon costretti a rinnovare ai medesimi i loro giuramenti
di fedeltà.
P. TOLEMAEI,
Annales.yu76666666gfvb
Pisani; ma nella
pace conclusa il 13 giugno 1276, fu stabilito per espressa condizione
fra i medesimi e la Repubblica Fiorentina, che Castiglione fosse
restituito a quella di Lucca.
Quando
la Garfagnana nel 1308 era divisa nelle tre Vicarie di Barga, di
Gallicano, e di Castiglione, questo fu capoluogo della Vicaria
omonima, che componevasi delle seguenti Terre e Castelli, cioè
Palleroso, Ciciorana, (oggi Ceserana), Campori, Carpineta, Cerageto,
Piano di Cerreto, Mozzanella, Monticelli, Verrucchio (1), Magnano, S.
Donnino, Massa di Sassorosso, Pontescosso (oggi Pontecosi),
Ponteardito (Pontàrdeto), Gragnanella, Chiosa (oggi Chiozza),
Marcione, S. Pellegrino, Castelnuovo, Capraia, Barghecchia, Sillico,
Roggio, Gramolazzo, Vagli sopra e Vagli sotto. Villa Collemandinga,
Sassorosso, Quarfino (ora Corfino), Sericagnana (oggi Sillicagnana),
Pieve a Fosciano, Castagnora. Questa Vicaria nell'anno 1382
componevasi di 887 capi di famiglia, e 2536 individui (2). A
quell'epoca risiedeva in Castiglione un Commissario della Repubblica,
che adempiva le funzioni di Giudice, con un Cancelliere notaro e
attuario. Nel 1341 questo Castello apparteneva al Marchese Spinetta
Malaspina, che con atto solenne del 5 agosto, rogato per mano di
Bartolo Notaro, lo vendeva alla Repubblica di Firenze, con altre
Terre e Castelli che possedeva in queste parti. Nell'anno seguente
Lucca fu soggiogata dai Pisani coll'aiuto di Luchino Visconti; nè
riuscì ai Fiorentini di riguadagnarla. Ma il Visconti non
soddisfatto de' suoi alleati, nell'anno seguente occupò alcune terre
della Garfagnana, fra le quali Castiglione, che però dovette ben
presto abbandonare al sollecito sopraggiungere di 300 cavalli e 600
fanti spediti da Pisa sotto la direzione di Francesco Castrucci.
Ritornato peraltro nel 1344 con nuove truppe, riuscì ad impadronirsi
di quel Castello e di altre terre, cui recò molto danno; se non che
venuto poco dopo coi Pisani a concordia, restituì ad essi tutti i
paesi che aveva invasi nella Garfagnana.
Era piccolo paesello sulla destra
del fiume di Castiglione, e vi esisteva una chiesa ed un piccolo
fortilizio. In oggi resta il nome a quella località con una casa e
poche capanne. Del resto non vi sono che ruderi sparsi qua e là,
che indicano ancora l'antica esistenza di fabbricati.
Risulta dal censimento della
popolazione fatto eseguire dalla Repubblica per effettuare nella
Garfagnana una distribuzione di sale. Rinnovato il censimento da
Paolo Guinigi nel 1406 ne risultò una diminuzione di 89 nel numero
delle teste.
Dopo che i figli di
Castruccio, Alderigo e Vallerano furon cacciati da Lucca, e si
ritirarono in alcuni loro possessi che avevano in Garfagnana, nel
1357 accozzato un corpo di truppa di 400 cavalli e 2000 fanti,
cinsero di assedio Castiglione, ma il 12 agosto ne furono ricacciati
dai Pisani, come abbiam visto trattando del Comune di Pievefosciana
al titolo Capraia (pag. 201).
Le
solide mura di quel Castello furono costruite nel 1371; ed in esso fu
ratificata, il 10 marzo dell'anno medesimo, la pace conclusa fra il
suddetto Alderigo ed ogni altro della sua lega colla Repubblica
lucchese. I Pisani, cui interessava moltissimo il possesso della
Garfagnana, tentarono promuovere in essa una rivoluzione, valendosi,
nell'anno 1396, dell'opera di un certo notaro Giovanni Linelli di
Castiglione. Egli riuscì a far ribellare alcuni paesi della Vicaria
di Camporgiano, e fatto più ardito, coll'aiuto di Ser Boso da
Sillano, passò all'assalto di Castelnuovo; ma giunto da Lucca buon
numero di truppa, il Linelli si salvò colla fuga dandosi ai Visconti
di Milano e Ser Boso fu preso, tradotto in quella città, ed ivi
decapitato. Anche il primo pagò poco dopo il fio del suo tradimento,
dapoiché essendo stato rinvenuto nel Castello di Ripafratta quando i
Fiorentini lo ricuperarono dai Lombardi nel 1405; venne da loro
ucciso, ed il cadavere ne fu gettato da quella fortezza. Finalmente
dopo la pace del 1441 Castiglione rimase ai Lucchesi, formando quasi
un'isola in mezzo alla Garfagnana, già divenuta per le diverse
dedizioni, di proprietà degli Estensi.
Dalla
parte meridionale del Castello in linea retta vedesi l'antico
fortilizio detto il Bargilio sui monti di Diecimo e di Borgo a
Mozzano, del quale servivasi la Repubbica per dare segnali a
Castiglione, coll'intermedio della torre di Montecatino, che sorge
anche attualmente fra il Bargilio e la città.
Nella
famosa giornata del 17 luglio 1583, quando le milizie Estensi
piombarono da varie parti sulla Garfagnana e sulla Lunigiana lucchese
(cioè nella Vicaria di Minucciano), il Capitano Borghi, lasciato un
forte presidio a S. Pellegrino, invase Chiozza, Campori,
Monticelli, Piandicerreto e Cerageto, recando ovunque danni
gravissimi col sacco e col fuoco. Scese quindi a Pievefosciana, e vi
stabilì il suo quartiere. Irritati i Lucchesi di queste atrocità,
mossero da Castiglione verso Villa.
Collemandina, ove
accadde uno scontro, in cui rimasero diversi morti e feriti dall'una
e dall'altra parte. Giuntane notizia al Colonnello Galignano, il
quale (come vedremo) aveva il suo quartier generale a Sillano, spedì
immantinente a quella volta i Capitani Rocca, Vecchi e Farinelli, i
quali arrivati sul luogo ov'era accaduta la zuffa, posero il fuoco a
Tramonti, a Carpineta, a Marcione, e ad una segheria per legnami,
risparmiando soltanto una fabbrica di ferro di ragione di Michele di
Salvatore Guinigi di Lucca.
Quando
nel 1602 il Bentivoglio cinse di assedio Castiglione, i suoi abitanti
lo sostennero valorosamente per tree giorni, rendendo inutili tutti
gli sforzi del Generale modenese, che dovette poi ritirarsi, guidando
le sue truppe su Monteperpoli, ove si fortificò. I Castiglionesi,
ignari dell'ordine ch'era giunto al Bentivoglio, di cessare le
ostilità, pei richiami del Fuentes al Duca Cesare, assalirono alle
spalle la retroguardia dei modenesi, ne uccisero 25, e poscia si
condussero a Corfino ed a Sassorosso, appiccandovi il fuoco per
vendetta dei danni sofferti.
Anche
nel maggio dell'anno successivo si riaccese la guerra fra gli Estensi
e i Lucchesi. Questi non tardarono a rinforzare Castiglione con un
corpo di 500 uomini comandati dal Colonnello Lazzaro Giovardi, e
Gallicano con altri 500 sotto il comando del Generale Jacopo
Lucchesini; il quale volendo mandare più tardi nuova truppa a quel
Castello, e trovando ostacoli nelle vie ordinarie, rigorosamente'
guardate dagli Estensi, fu costretto avviarla per sentieri scabrosi
dell'Alpe del Sillico, passando per un luogo detto anche attualmente
il Volpiglione; ma i Modenesi che erano a S. Pellegrino, accortisi
del tentativo, mossero a contrastare il passo ostinatamente. Fu
quindi necessario che una parte del presidio di Castiglione
accorresse a liberare i suoi commilitoni dalle strette in cui si
trovavano, e dopo molti sforzi riuscì di sgombrare la via ai nuovi
arrivati, e di scendere e rientrare con essi trionfalmente nel
Castello in mezzo alle pubbliche dimostrazioni di gioia. In quel
fatto peraltro i Castiglionesi disgraziatamente perdettero diversi
uomini, e fra gli altri l'Alfiere Pierotti. Un altro corpo di 400
uomini, diretti dal Capitano Mario Trenta, erasi spedito
contemporaneamente dai Lucchesi a presidiar Minucciano. In altro
scontro cogli Estensi, avvenuto verso Campori, rimase gravemente
ferito il bravo Capitano Francesco Guasparini,
che poco dopo, cioè
il 15 maggio, dovette soccombere (1). Ma non tardò il Bentivoglio ad
assediar nuovamente Castiglione. Mandò prima il Marchese Luigi
Montecuccoli a dare l'assalto a Montepigoli, luogo eminente ed
interessantissimo, e quindi guardato in modo particolare dai
Lucchesi. Dopo breve, ma accanito combattimento, in cui fu grande la
mortalità d'ambe le parti, il Montecuccoli guadagnò la posizione, e
vi pose una batteria (2). Frattanto il corpo d'armata cinse il
Castello; ed accortisi che anche una chiesa a poca distanza dal
medesimo, detta la Corba, erasi fortificata dai Lucchesi, il
Bentivoglio spedì ad assalire quel ridotto il Capitano Alfonso
Coccapani modenese, cui fu facile impadronirsene, mentre il presidio,
sorpreso di notte tempo improvvisamente, si dette alla fuga ai primi
colpi del nemico. Il fuoco di Montepigoli demolì ben presto la torre
del Castello detta Brunella; mentre un'altra batteria collocata più
in basso avealo fulminato più da vicino, ed aperta una breccia, per
la quale il Conte Ercole Cesis con altra nobile gioventù venturiera,
da varie parti arrivata al quartier generale del Bentivoglio, ebbe
ordine di dare l'assalto. L'arrivo improvviso peraltro di due
ambasciatori e di un corriere da Modena fecero sospendere le
ostilità, e poco dopo si concluse la pace (3). Le truppe lucchesi
partirono da Castiglione cogli onori militari, accompagnate da uno
squadrone di cavalleria lombarda fino a Monteperpoli, e .il
Bentivoglio fece collocare in Montalfonso tutte le artiglierie che
aveva seco condotte. Il Castello ebbe a soffrire molti danni, sia per
l'assedio, sia pel bombardamento che avea sostenuto. In memoria dei
fatti accaduti durante l'anno 1603 i Castiglionesi posero una lapide
commemorativa su quel palazzo Municipale, colla seguente iscrizione:
«Mentre
gli uomini di Castiglione, con forte animo risoluti di morir sudditi
dell'Eccellentissima Repubblica di Lucca,
(1)
Il Guasparini nella sua gioventù aveva servito Enrico IV in Francia
in qualità di Alfiere. Ritornatone prese servizio sotto i Lucchesi
da cui ebbe il comando del presidio di Castiglione. In quella chiesa
di S. Pietro esiste una lapide che lo rammenta.
(2)
Fu in quella circostanza che i Lucchesi fecero fondere un cannone di
grosso calibro per quei tempi, entro il castello, impiegandovi anche
il bronzo delle campane. Ma per manco di metallo rimase imperfetto, e
dovettero segarlo sotto la bocca. Non avendo in pronto peraltro palle
da 30 come portava il pezzo, che denominarono Calubrina, i suoi colpi
valsero più a intimorire, che a danneggiare il nemico.
(3)
Vedi lettere del Generale Bentivoglio, di Pirro Malvezzi, e del
Capitano Verdugo d'Avila de' 5 giugno 1603.
attendevano la
seconda volta nello spazio di un anno a fare animosa resistenza al
numeroso esercito dei Modenesi, el altri che aspramente battevano ed
assediavano questo Castello, essendo mandato il soccorso delli Ill.mi
SS.i dell'Offìz.o delle Differenze, fu anche da loro scritta una
lettera a questa Comunità così amorevole, che facendo mentione
della antica sua fedeltà, si conserva fra le cose più care
nell'Archivio di Castiglione. Fatta poi la pace fra SS.i Lucchesi et
il Duca di Modena, piacque all'Eccell.mo Consiglio di segnalar la
fede et attioni degli Homini di Castiglione col privilegio che
possano portar l'armi anco per la città. Onde per decreto
dell'Hono.le Consiglio et General Parlamento di Castiglione, si
lascia memoria di queste cose a quelli che ne' futuri secoli
nasceranno, acciocché con l'esempio dei loro antenati siano
perpetuamente fedeli sudditi all'Eccell.mi SS.i Nostri, alla
Benignità de' quali possono sperar sempre gratie maggiori ». GIULIO
PIEROTTI E PIETRO ARRIGHI
Sotto
Deputati MDCIII
Troppo
lungo sarebbe il descrivere le guerre più terribili e sanguinose del
1613, in cui Castiglione ebbe la parte principale, dando sempre prove
di sommo valore, abnegazione e coraggio. Soltanto accenneremo che
essendo rimaste in quella occasione molto danneggiate dalle armi de'
Modenesi anche le mura della Rócca e del Castello, vennero
restaurate, e riparati i guasti nei tre anni successivi a cura di
Lelio De' Nobili, allora Commissario di Castiglione, come risulta dai
conti delle spese relative, che si conservano nell'Archivio di Stato
in Lucca, ove esistono eziandio i disegni delle fortificazioni, con
quelli di Gallicano e di altri luoghi.
Attualmente
Castiglione ha tre porte, le quali non servono che a rammentarne
l'antichità, essendosi permesso dal Municipio, già da qualche anno,
a quelli che avevano fabbricate case sulla mura castellane, di
aprirvi l'ingresso anche dalla parte esterna. In addietro le porte
erano soltanto due, poste ai lati di levante e di mezzogiorno.
L'altra a ponente fu aperta per comodo della popolazione or son pochi
anni. Nel 1848 essendosi quelli abitanti assai intimoriti per le
politiche vicende, e pei movimenti militari che allora avvenivano,
desiderarono fosse meglio provveduto alla loro sicurezza,
specialmente di notte tempo; per cui il Municipio il 7 di agosto
ottenne dal
Governo Provinciale
la facoltà di costruire forti serrature alle due porte del Castello
per poterle chiudere ad ogni evenienza (1).
Presso
la principale dal lato di mezzogiorno avvi una piazza che fu ampliata
dal Municipio, colla occupazione di un orto appartenente al
Comandante del Castello, detto Capitano di Porta, che fu ceduto dal
Governatore della Provincia Don Galasso Pio di Savoia quando, nel
1821, venne meno la detta carica di Capitano di Porta (2).
Nell'interno
del paese esistono 89 case, 79 famiglie, e 342 abitanti; e nella
campagna, compresa la Cura di Chiozza, 516 fabbricati, 417 famiglie,
e 2451 anime. La sua posizione è veramente incantevole, dominando
buona parte della Garfagnana, e presentando da ogni banda belle e
svariatissime vedute. Siede su di un poggio che forma controfforte
dell'Alpe di S. Pellegrino nei grad. 28.3.' di longitudine, e 44°9.'
di latitudine; a 531 metri sull'altezza del mare (3). Ha da levante
il fiume Esareolo, che ne bagna la collina: ad occaso il rio che
scende dai monti di Villa Collemandina denominato di Magnano di
Mozzanella.
Sono
dentro le mura due chiese parrocchiali, l'una sotto il titolo di S.
Pietro, l'altra di S. Michele; ambedue nominate nella nota delle
chiese di Pievefosciana del 1260. Della prima si hanno memorie fino
dal 723; e ne risulta che ai tempi di Luitprando Re de' Longobardi, e
del Vescovo Telesperiano (4), nel mese di gennaio del suddetto anno.
Arimando e Gandifredo, fratelli costruirono e dotarono la chiesa
stessa. Nell'anno 768 poi la dote le fu aumentata dal suo Rettore,
nel tempo che la sottoponeva allo Spedale di S. Colombano fuori di
Lucca. Come apparisce manifesto da una lapide che tuttora vi esiste,
questa chiesa venne consacrata il primo febbraio del 1197 da Guidone,
Vescovo di Lucca; indizio sicuro che dovette essere in quel torno o
rifabbricata dalle fondamenta o per lo meno grandemente accresciuta.
Essa è rammentata, insieme con quella di S. Michele, nella Bolla di
Alessandro III del 1168.
(1)
Atti Governativi N. 973.
(2)
Lettera del Municipio de' 14 maggio 1821. Decreto Governativo 18
detto, N. 3125.
(3)
Misurata al Torrione occidentale.
(4)
Fu il 25 ° Vescovo Lucchese, le cui memorie dal 713 giungono fino
all'anno 729.
Il Vescovo di Lucca
Niccolò Guinigi (1), con approvazione pontificia, dava facoltà al
Parroco di battezzarvi i bambini, che in addietro portavansi al fonte
della chiesa matrice di Pievefosciana.
Nell'anno
1391 alla chiesa di S. Pietro di Castiglione furono aggregate le
altre di S. Bartolomeo di Chiozza, e dei SS. Jacopo e Cristoforo di
Verrucchio, villa che più non esiste ai di nostri. Nel Registro
Vaticano trovasi inscritta la Corte di Castiglione come tributaria
della S. Sede per causa della Contessa Matilde. Il campanile di S.
Pietro fu ricostruito nel 1827 su di un antico torrione del Castello.
Rapporto a S. Michele si ha che essendone rimasta vacante la
Parrocchia, per la rinunzia fattane dal Rettore Nicolao Gabrielli
lucchese nel 1513, l'Università de' Cappellani Benefiziati di S.
Martino di Lucca ottenne da Roma che tutti i beni ed i frutti della
stessa Parrocchia fossero incorporati nella massa dei Cappellani di
quella Università, coll'obbligo però di mantenervi un Vicario che
avesse la cura della parrocchia medesima (2). Cessato poi il Governo
della Repubblica, e indemaniati i beni della Università dei suddetti
Cappellani, la Commissone Ecclesiastica di Lucca fece un conveniente
assegno in beni ed in censi al Parroco di S. Michele, al seguito di
che quel Benefizio tornò ad essere di libera collazione per sentenza
della Curia Romana in data del 20 ottobre 1851.
Fino
dall'anno 1559 esisteva in Castiglione uno Spedale sotto sotto il
titolo di Santa Maria di Piazza fuori del Castello, destinato a
ricevere gli ammalati di quel Comune ed i pellegrini; ma essendosi
introdotto l'abuso presso la popolazione di quei dintorni di esporvi
i trovatelli, per deliberazione dei Consoli de' Mercanti di Lucca del
3 giugno 1768, approvata dal Vicario Vescovile, fu chiuso, ed i suoi
letti si trasportarono allo Spedale di S. Masseo in detta città. Il
suo patrimonio peraltro fu aggregato nell'anno 1771 allo Spedale
della Misericordia di Lucca, che assunse l'obbligo di ricoverare e
mantenere gl'infermi e i bastardelli castiglionesi; e ciò mantenne
fino al 1819, cioè per 48 anni consecutivi. Passato però
Castiglione a quell'epoca a far parte del Ducato di Modena, reclamò
(1)
Niccolò di Lazzarino Guinigi venne eletto Vescovo di Lucca nel 1394.
(2)
Rogito del Notaro Pietro Piscilla del 3 ottobre 1513, esistente
nell'Arch. Parrocchiale
i beni del suo
Ospedale, ma inutilmente, dapoiché erano già stati venduti alla
pubblica subasta alli fratelli Micheluccini a rogito Gabrielli del 2
novembre 1821 pel prezzo di L. 9900.
Quando
la Repubblica lucchese nel 1799 si cambiò di aristocratica in
democratica, Castiglione ne seguì le sorti, ma ebbe per ciò stesso
a soffrirne assai, dapoiché nell'anno successivo essendo
acquartierata a S. Pellegrino una Divisione di 600 uomini Cisalpini e
Liguri, comandata dal Capo Battaglione Desportes, questi fece
invadere il Castello, v'impose una contribuzione di Italiane L.
11,200, ordinò il disarmo della fortezza, il mantenimento de' suoi
soldati, e il licenziamento di tutti i militari appartenenti alla
Repubblica che vi si trovavano. Poscia fu sempre proprietà dello
Stato lucchese, e quindi andò soggetto ai Principi Baciocchi,
all'Amministrazione Austriaca, ed ai Borboni. Siccome però col
Trattato di Vienna del 1815, era stabilito che laddove il Ducato
lucchese dovesse incorporarsi alla Toscana, Castiglione sarebbe
passato agli Estensi, così il Duca Francesco IV lo prese
precedentemente in affitto nell'anno 1819 (come si è avvertito di
sopra) e si amministrò dagli Estensi come tutto il rimanente della
Garfagnana fino alla morte della Duchessa Maria Luigia di Parma,
quando si fece luogo alla prevista reversibilità. Primo pensiero di
Francesco IV fu quello di provvedere al gravissimo ed irregolarissimo
Estimo, che aggravava quelle popolazioni, e ordinò fosse perequato a
quello vigente in tutta la Provincia, come ho già detto. Volle
quindi visitare il nuovo paese, e vi si recò il giorno 11 giugno
dell'anno seguente in compagnia del proprio fratello Arciduca
Massimiliano. Con straordinarie feste vennero accolti in Castiglione;
e fu allora che il Municipio chiese al Sovrano che si aprisse una
strada ruotabile la quale toccando il Castello, unisse la Garfagnana
con Modena; e per facilitarne il compito, offrì in dono tutto il
terreno di ragion comunale che doveva occuparsi nella costruzione
della medesima. Francesco IV accettò l'offerta, e promise secondare
i voti dei Castiglionesi; siccome fece, per quanto dopo uno spazio di
tempo assai lungo. Il Municipio stesso volle perpetuare la memoria di
un tal giorno, e il 14 agosto del 1821 fece collocare una lapide sul
palazzo comunitativo, colla seguente iscrizione, lo che avvenne in
mezzo alle più entusiastiche dimostrazioni di gioia.
QUO . FAUSTA .
FELIX . AETERNA . SIET COLONIS . INCOLIS . CONJUGIBUS LIBERIS . QUE .
NOSTRIS FRANCISCI IV . ARCIDUCIS . AUSTRIAE PANNONIAE . QUE .
PRINCIPIS MUTINAE . REGII . AUGUSTI . LENISSIMI . BENEFICENTISSIMI
AFFABILIS . CLEMENTIS . PACIFICI . MEMORIA QUOD . BENIGNISSIMO .
ADVENTUI . PRAESENS III - INDUS . IUNII . MDCCCXX FIDELIUM .
CASTILIONENSIUM . VOTA . EXPLEVIT CONCILIUM . COMMUNITATIS OPTIMI .
SAPIENTIS . QUE . DOMINI NOVO . IMPERIO . MAJESTATI . QUE . DEVOTUM
COETUS . UNIVERSI . CONSULTO MONUMENTUM . PUBLICUM DECREVIT.
Fino
all'anno 1829 ebbe Castiglione una Vicegerenza (Vice Pretura), la
quale a quell'epoca venne soppressa, ed il Comune fu unito alla
Giudicatura di Castelnuovo. Il 10 dicembre 1830 fu pure tolta via la
Brigata dei Dragoni per alleviare la Comunità dalla relativa spesa
di alloggio e casermaggio; ma fuvvi ripristinata nel 1856,
specialmente per essere quei luoghi molto più frequentati dopo il
compimento della nuova strada per Modena (1).
Visto
così quanto si riferiva al Castello di Castiglione, ci riporremo in
cammino per la via nazionale, e dopo un breve e piacevole viaggio
saremo ai piedi di Cerageto.
CERAGETO
Questo
paese è situato ad occidente di Castiglione, alla distanza di
chilometri 4 e ad un'altezza maggiore di metri 290 essendo elevato
metri 770 sul livello del mare.
Conta
60 case unite, con 58 famiglie e 252 abitanti; oltre a 33 case sparse
su quei monti, con 30 famiglie e 172 abitanti, i quali tutti fanno
parte della stessa parrocchia, la cui chiesa è sotto il titolo di S.
Martino.
In
una bacchetta di Collazioni del 1410 (2) trovasi che la chiesa di
Cerageto, vacante per la morte di Prete Lorenzo, fu unita a quella di
Sassorosso; che nell'anno successivo ne fu nuovamente disciolta, e
nel 1439 venne aggregata a S. Pellegrino (3).
(1)
Atti Governativi del 1856. N. 2306.
(2)
N. 12. Fogl. 70.
(3)
N. 13. pag. 75.
Può dirsi che
presso quel paese cessi la coltivazione, non essendo al di sopra che
selve di castagni, e boschi di faggi con qualche pianta di abete
presso il Casone di Profecchia. Si eccettua però il monte detto di
Medicina, ove esiste un coltivato, che si estende fino a Terrarossa.
La
strada nazionale Livorno-Mantova ne tocca le prime case. Proseguendo
raggiunge un casolare detto il Prunaccio a 1100 metri sul livello del
mare, passa al suddetto Casone, e quindi varca l'Appennino alla Foce
delle Radici (ov'è una osteria a 1470 metri di elevazione) per
scendere nella Provincia Modenese.
Cerageto
sembra non esistesse ancora nel 1168, dapoichè non trovasi nominato
nella Bolla Pontificia di quell'anno, in cui sono notate le chiese
della Pieve di Fosciana. Vi si legge bensì: chiesa di S. Martino di
Montepigulo; ma il villaggio di tal nome, di cui non restano ora che
poche case coloniche, era dalla parte opposta, cioè ad oriente di
Castiglione, e Cerageto ad occidente. Siccone poi nell'Archivio
Arcivescovile di Lucca esiste un editto del 26 febbraio 1377 per la
conferma del Rettore della chiesa Curata e Collegiata di S. Martino
di Cerageto, o Montepicori, così potrebbe essere che la Provincia in
antico esistesse a Montepigoli, e più tardi fosse trasferita a
Cerageto. Anche in essa ha sede una Confraternita, di cui il
Municipio di Castiglione sottoponeva all'approvazione governativa i
Capitoli il 5 maggio 1838.
Dopo
un viaggio di chilometri 20 da Cerageto si giunge per la via
nazionale alla suddetta osteria delle Radici, da dove volgendo ad
oriente, passeggiando per erbosi prati per circa due chilometri, o
per un sentiero praticabile anche con bestie da soma, si perviene al
villaggio e al Santuario notissimo di S. Pellegrino, del quale
andiamo a trattare.
S.
PELLEGRINO
Esiste
sull'Alpe di Castiglione un'antichissima chiesa denominata S.
Pellegrino, dapoichè uno sconosciuto di tal nome, recatosi ad
abitare nelle folte boscaglie che coprivano i dossi dell'Appennino,
allora denominate Termesalone, vi morì dopo diversi anni in concetto
di santità. Chi fosse costui è assolutamente incerto, come lo sono
l'epoca della venuta e della morte di lui.
Molti sono gli
autori che scrissero di S. Pellegrino, ma altrettante sono pure le
contraddizioni che in essi riscontrasi, essendo favolose le antiche
leggende del Santo, cui essi hanno attinto. Nè maggior luce si ha
dai Bollandisti, i quali danno in vero quella leggenda, ma la
qualificano fabulosa e il di più hanno ricavato da cronisti e
scrittori lucchesi.
Una
storia stampata in Bologna, di autore incerto, riferisce che S.
Pellegrino morì l'anno 462, in età di 97 anni. La Cronaca
manoscritta in pergamena, che dicesi rinvenuta nelle pareti della
chiesa delle Alpi, accenna che il Santo passò ad altra vita l'anno
643. Il Franciotti afferma che S. Pellegrino venne in Toscana nel 624
e morì nel 643. Ne scrissero pure il Vedriani, il Dott. Rossi di
Modena, il Sacerdote Adami di Bologna, ed altri; ma chi crede la
morte avvenisse nel 400, chi nel 462, chi nel 463, ed altri nel 772,
alla qual'epoca peraltro non si fa parola nè della chiesa, nè del
monte di S. Pellegrino, nel diploma di Carlo Magno dell'anno istesso
(1), in cui sono notati assai esattamente i confini della Diocesi di
Reggio colle altre ad essa contermini.
Alcuni
asseriscono che l'istesso S. Pellegrino lasciasse notizie di sé
medesimo mediante un intaglio fatto in un legno, da cui appariva
avere in quell'epoca 93 anni; ma questo pure ritiensi una favola.
Altri dicono che mentre S. Pellegrino moriva, era Vescovo di Lucca
Leto, il quale fece parte del Concilio di Roma celebrato nel Palazzo
Laterano sotto il pontificato di Papa Martino nel 649; e questa
circostanza convaliderebbe la opinione del Franciotti rapporto
all'epoca della morte del Santo. Cade poi in gravissimo errore quando
dice che, appena conosciuto tale avvenimento, molti Vescovi della
Toscana, del Modenese e della Romagna accorsero sul luogo a visitarne
il cadavere; e quelli che più si mostrarono persuasi della Santità
di Pellegrino furono Severo Vescovo di Ravenna, S. Gemignano di
Modena, ed il suddetto Leto Vescovo di Lucca, i quali unitisi fecero
immediatamente costruire una chiesa in quella località per riporvi
il corpo di S. Pellegrino, e di un suo compagno per nome Bianco, che
ritiensi andasse ad abitare in quelle montagne per riverenza, ed
affezione per S. Pellegrino. Ma questa asserzione cade di per se
stessa, se si rifletta che S. Gemignano morì il 31 gennaio del 397;
e Leto viveva nel
(1)
Esiste nell'Archivio Capitolare di Reggio di Emilia.
649. Il Dempsterio,
nella Storia ecclesiastica di Scozia, aggiunge la stessa notizia
(sulla fede di altro autore della vita di S. Pellegrino) e narra come
assistessero alla sepoltura di detto Santo molti Vescovi dell'Etruria
con 27 altri della Gallia Cisalpina, con S. Geminiano di Modena, S.
Severo di Ravenna, e il Beato Alessio Vescovo di Pisa; ma oltre gli
errori di data sovraccennati, il Tronci, l'Ughelli ed altri affermano
che nell'anno 643, era Vescovo di Pisa un Alessandro, e non Alessio,
ed il Sollerio chiama spacciatore di favole il biografo cui
appoggiasi il Dempsterio, e questi celebre a raccontarle. Nè a
torto, dapoiché non solo egli inventò molte cose per accrescerne la
gloria degli Scozzesi, ma riportò persino fra i Vescovi Pisani
parecchi non mai esistiti.
Il
più accurato di quanti hanno lasciate memorie certe, o almeno
probabili sul nostro santo è l'Abate Domenico Barsocchini lucchese
(1). Egli dice che: « Pellegrino nacque (secondo narrano certe
antiche cronache) nel Regno di Scozia circa l'anno di Cristo 600; si
portò a Gerusalemme a visitare il Santo Sepolcro e gli altri luoghi
santi della Palestina; venne poscia in Italia (alcuni soggiungono,
sbarcando in Ancona) a visitare la chiesa di S. Michele Arcangelo,
già eretta a piè del Monte Gargano, indi le chiese di Roma, da dove
finalmente partì verso le Alpi di Castiglione di Lucca (nominate in
antico, secondo alcuni storici e geografi, le montagne di Leto, di
Balista e di Anido) per ivi passare il rimanente della sua vita; e
dopo aver vissuto diversi anni in quelle boscaglie, vi morì verso la
fine del secolo VII ». Fu allora che il nome di quella montagna si
cangiò in quello di S. Pellegrino, ed in un necrologio del XII
secolo sotto il giorno 19 settembre trovansi queste parole: « Obiit
Gottifredus Rosso de Sancto Peregrino ». E da ciò può facilmente
dedursi che la montagna stessa aveva cangiata la sua denominazione.
In tanta incertezza sulla persona, sulla patria, sulla vita e la
morte di Pellegrino, come di quella del suo compagno, per nome
Bianco, non resta di positivo se non che egli fu sempre tenuto in
concetto di santo, e come tale ebbe culto e venerazione, ed a suo
onore si edificò sull'Alpe di Castiglione in un piccolo ripiano a
1460 metri sul livello del mare un Oratorio, ove riposa il corpo del
medesimo e di S. Bianco. Quindi sebbene di ambedue potesse esistere
qualche
Diario Sacro delle Chiese di
Lucca; pag. 183, 84, 85.
fondo di verità
nelle favole delle Leggende che li riguardano, pure sarebbe
impossibile separare l'una dalle altre, essendo ciò superiore alle
forze della critica più accurata e perspicace, principalmente per
l'assoluta mancanza di documenti autentici contemporanei, o almeno di
una certa antichità, su cui appoggiarsi.
Restringendomi
pertanto a ciò solo che è positivo, accennerò che, oltre
all'antichissimo Santuario dedicato ai SS. Pellegrino e Bianco, fu
fabbricata in quella località e presso la chiesa una casa detta
Ospedale, nella quale abitarono alcuni frati che ne avevano la
custodia, provvedendo ai viandanti che transitavano l'Appennino per
quella parte, ove nell'anno 1077, erasi aperto un varco verso le
Provincie Modenesi (1).
In
seguito il Duca Alfonso II vi fece erigere dalle fondamenta un locale
ad uso locanda, che anche attualmente vi esiste.
Federigo
Barbarossa nel 1168 donò a quel santuario 4 miglia di terreno
intorno (2) alla chiesa, dopo che un suo nipote per nome Adriano ivi
condotto infermo (la cronaca dice ossesso) ebbe ricuperata
completamente la salute. Questa donazione fu poi confermata da
Federigo II l'anno 1239, ad istanza di Gualdo Maestro dello Spedale
(3).
Rapporto
alla chiesa leggesi nel Diario delle chiese lucchesi di Monsig. Gio.
Domenico Mansi che il Pontefice Alessandro III perseguitato dal
suddetto Imperatore Barbarossa, fuggendo da Roma per recarsi in
Francia nel 1166, passò da S. Pellegrino in tempo che si fabbricava
la chiesa, cui concasse indulgenza plenaria pei mesi di maggio e di
agosto. II Paolucci conferma questa notizia, e solo differisce
nell'epoca, stabilendo il passaggio nel 1177; ma il Pacchi con altri
storici portarono molte ragioni per dover negare il fatto, asserendo
esser positivo che quel Pontefice partendo da Roma per recarsi in
Francia, viaggiò per mare fino a Genova, ove giunse il 21 gennaio
1162; e nel ritorno arrivò a Messina e sbarcò poi a Ostia il 20
novembre del 1165 riducendosi a Roma il dì
(1)
In una carta del 1281 pubblicata dal Muratori sono segnati i patti
scambievoli fra i Comuni di Modena e di Lucca riguardo alla
manutenzione della strada stessa pel reciproco commercio.
(2)
Dodici iugeri.
(3)
Ciò risulta da istrumento rogato nel 1336, da Pietro di Giovanni da
Monte-Stefano, esistente nella Cancelleria della Repubblica Lucchese
(Pacchi).
seguente. Ad onta
di ciò, questo fatto (sebbene senza indicazione dell'epoca) si trova
riferito nella seconda Lezione dell'Uffizio di S. Pellegrino in un
codice in pergamena, se non anteriore certo non posteriore al secolo
XIII (1).
Si
è molto quistionato dal Muratori e da altri se il confine fra la
Repubblica di Lucca ed il Modenese fosse sulla cima dell'Appennino o
presso l'antico Ospedale, ma è positivo che fino dal suddetto anno
1168 questo apparteneva alla Diocesi lucchese, come risulta dalla
Bolla di Papa Alessandro III, diretta al Pievano di Pievefosciana
sotto il giorno 23 dicembre di detto anno; e come del pari risulta
dal registro di Cencio Camerlengo dei Censi della Chiesa Romana fatto
nell'anno 1192, in cui l'Ospedale di S. Pellegrino dell'Alpi,
soggetto al Vescovo di Lucca, era tassato di 3 oboli d'oro (2) e di 4
libbre di cera. Di altrettanto fanno fede eziandio diversi istrumenti
del 1284, 1286 e 1288, rogati parte nell'Ospedale stesso per mano di
Rolando notaro pubblico di Castiglione, parte in quel Castello dal
notaro medesimo, e da un altro per nome Lanfredo di detto luogo. Tali
strumenti concernono le vendite di alcuni beni dell'Ospedale di S.
Pellegrino esistenti a Lucca, che furono acquistati da quei PP.
Domenicani. Anche nella descrizione delle chiese di Comunità e
Diocesi lucchese tassate di decime per la crociata, vedesi lo Spedale
di S. Pellegrino cum cellis quas habet nella Provincia di Toscana,
libbre 200.
Finalmente
in un libro del 1260 in cui per ordine del Vescovo di quell'epoca
Enrico I (3) sono scritte le stime delle possessioni ed averi della
sua Diocesi, vi si legge sotto la Pievefosciana anche il suddetto
Ospedale di S. Pellegrino.
Ciò
nullameno, per quando la chiesa e lo Spedale fossero di fatto nel
possesso dei Lucchesi, pure nell'anno 1216, i Modenesi recaronsi in
quel luogo a ricevere il Re Arrigo figlio di Federigo II, che dalla
Toscana passava in Lombardia, asserendo (come risulta da un
istrumento del 1336, rogato da
(1)
II titolo di detta Lezione è il seguente De inventione ejus sacri
Corporis, et Indulgentia ipsius Dedicationis. Il codice suddetto
trovansi nella Biblioteca di Bernardino Baroni di Lucca (Pacchi, Dis.
XI.).
(2)
L'obolo d'oro equivaleva ad un fiorino d'oro, come asserisce Giovanni
Cabrospini scrittore del secolo XIV, citato dal Muratori, Antichità
Italiane.
(3)
Enrico I. della casa Rolandinga fu il 63.° Vescovo lucchese, eletto
nel 1256 e morto nell'ottobre del 1269.
Pietro di Giovanni
da Montestefano, esistente nel R. Archivio di Stato in Lucca) esser
quello il confine giurisdizionale di Modena.
In
una pergamena del 1286, esistente nell'Archivio suddetto che già
appartenne ai PP. di S. Romano, vedonsi i nomi dei frati che a
quell'epoca erano a S. Pellegrino nell'ordine seguente.
1.
Bonaccorso Rettore, Amministratore e Maestro dello Spedale di S.
Pellegrino dell'Alpe. 2. Fra Pellegrino. 3. Fra Guicciardino. 4. Fra
Gemignano. 5. Fra Pietro. 6. Fra Marano. 7. Fra Guglielmo. 8. Fra
Parmesano. 9. Fra Marco. 10. Fra Bergo. 11 Fra Jacopino. 12. Fra
Aldebrando. 13. Fra Lucio. 14. Fra Landuccio. 15. Fra Baruffo. 16.
Fra Gherardo. 17. Fra Guidiccio. 18. Fra Lucarello.
Questi
adunati in capitolo eleggevano e costituivano altri due conversi,
cioè, Fra Bernardino e Fra Giovanni, Sindaci ed attori dello
Spedale. Da una prece dei medesimi umiliata a Papa Nicolao IV risulta
che nel 1288 erano in numero di 21.
Esistevano
ancora nell'anno 1384, e nelle carte dell'Archivio Arcivescovile di
Lucca vedonsi ordini a quei frati di questuare pel pio luogo, non
solo per la Lombardia e per la Toscana, ma per la Marca di Ancona,
per la Romagna, e per sino nella Sicilia, a condizione che rendessero
esatto conto al Camarlingo dello Spedale delle questue fatte. Essi
ricevevano ed assistevano i passeggieri che transitavano per quella
strada, o visitavano il santuario.
Nei
tempi posteriori però è incontrastabile, che del territorio di S.
Pellegrino fu data investitura in termini distinti da quella del
rimanente della Garfagnana, al Marchese Niccolò III d'Este
dall'Imperatore Sigismondo nell'anno 1433; confermata il dì 11
novembre 1509 da Massimiliano I al Duca Alfonso I. In ambedue gli
atti relativi si legge: Terra e territorio chiamato di S. Pellegrino
delle Alpi fra le città di Modena e di Lucca. Allo stesso Alfonso I
ne fu rinnovata la conferma da Carlo V il 5 ottobre 1526; e sotto il
17 decembre 1535, al Duca Ercole II. Fu per ciò stesso che ai Duchi
Estensi appartenne mai sempre l'approvazione del Rettore pro tempore
dell'Ospedale in discorso.
Intanto
la chiesa dopo essere stata migliorata nel 1166, come dice il Mansi
(egli scrive riedificata, ma nulla indicandone la caduta, è a
ritenersi fosse migliorata, risarcita ec.)
rimase per qualche
tempo quasi abbandonata a causa di pestilenze e di guerre, fintanto
che Leonello figlio di Jacopo dei Conti De' Nobili di Castiglione,
allora Rettore di S. Pellegrino ed Abbate di Frassinoro, la fece
restaurare, e probabilmente ampliare, nell'anno 1462, e vi pose la
seguente iscrizione.
HOC
OPUS FECIT FIERI DOMINUS LEONELLUS OLIM D. JACOBI DE CASTILLIONE
GARFAGNANAE ABBAS DE FRASSINORO ET S. GEORGII DE LUCA PRAEPOSITUS NEC
NON RECTOR S. PEREGRINI DE ALPIBUS FACTUM DIE PRIMA AUGUSTI 1462.
Fu
allora che la famiglia De' Nobili ottenne da Papa Pio II, nell'anno
1464 il giuspatronato perpetuo della chiesa e dell'Ospedale in
discorso, e dei beni che ne formano le proprietà. Il primogenito
della medesima è de jure Rettore di S. Pellegrino (quantunque
secolare) come apparisce da un breve Pontificio che si conserva
presso la famiglia stessa, la quale essendosi in oggi diramata in
altre due, il diritto di giuspatronato passa dall'una all'altra con
certe regole fra loro determinate.
Jacopo
figlio di Benedetto De' Nobili nipote di Leonello, nel 1472 successe
allo zio come Rettore, e fece costruire un'urna di marmo ove depose
le reliquie del Santo colla seguente iscrizione.
JACOBUS
DE NOBILIBUS LUCENSIS DOCTOR EQUES ET COMES AC HUJUS HOSPITALIS
RECTOR NATIONE TUSCUS PATRIA LUCENSIS QUI IPSE VIVENS TIBI O
BEATISSIME PEREGRINE BENEMERITO HOC INSIGNE MARMOREUM SEPULCRUM
SUPERIS FACENTIBUS POSUIT.
Come
Leonello fu riconosciuto nell'accennata sua qualità di Rettore di S.
Pellegrino dal Duca Ercole I con privilegio del 21 ottobre 1471, così
pure ne fu approvato il nipote di lui Jacopo dallo stesso Sovrano il
3 gennaio del l472; e poscia d'Alfonso I sotto il primo dicembre
1506.
Quello
Spedale fu arricchito di grosse rendite da diversi Principi e
Signori, ma molte memorie a ciò relative sono andate smarrite.
Antiche
vertenze relative ai confini della Garfagnana fra Modena e Lucca, non
solo per S. Pellegrino, ma per altri luoghi eziandio, erano state
agitate presso il Consiglio Aulico di Vienna; e ritornarono in campo
nell'ottobre del 1731. Per accordo procurato fra le parti, col mezzo
del Cardinale Grimaldi, allora Nunzio presso l'Imperatore d'Austria,
fu rimessa la cosa all'arbitraggio del Cardinal Petra a Roma.
Nell'Archivio Lucchese trovansi tutti gli atti relativi presentati al
Consiglio Aulico
dalla Repubblica
contro il Duca di Modena, e quelli da questo esibiti nel 1731. La
supplica dei lucchesi all'Imperatore introduttiva del giudizio porta
la data del 28 giugno 1729, e la fine del medesimo fu la petizione
per proroga del 22 gennaio 1732, che poi restò indefinita. Era
Procuratore della Repubblica Filippo Lippi lucchese, il quale scrisse
analoga allegazione a sostegno delle ragioni della medesima nel 1733,
convalidandola con documenti.
Altre
scritture furono pure esibite al suddetto Cardinale Petra per parte
del Duca di Modena, per provare i suoi diritti sulla strada di S.
Pellegrino ed i luoghi di Roncagliana, Bieri, la Custia, e Fiume in
quelle montagne. Nel 1734 il Cardinale Petra, mediatore, emetteva la
sua decisione quanto al primo e secondo capo della vertenza, cioè
relativamente alla chiesa di S. Pellegrino, allo spedale, alla
osteria ed alla piazza. Ma non si acquietarono a questa decisione i
lucchesi; ed il suddetto Procuratore Lippi produsse altra scrittura
in replica a favore dei medesimi.
La
controversia rimase per qualche tempo sospesa: ma nell'anno 1740
venne suscitata di nuovo. Da un memoriale dell'Offizio del 31 agosto
di detto anno risulta, che la mediazione del Cardinal Petra era
riuscita molto sterile: lo che equivale a dire che nulla erasi
concluso (1).
Il
Rettore di S. Pellegrino (che generalmente è secolare) ha obbligo di
tenervi un Cappellano costantemente, il quale, come si è detto,
doveva essere approvato dal Governo di Modena. In prova di ciò
Monsignor Arcivescovo di Lucca Filippo Sardi il 12 settembre 1818, si
dirigeva al Governatore della Garfagnana pregandolo, a nome del Conte
Ippolito De' Nobili Rettore, a provocare dal Sovrano l'approvazione
alla nomina del sacerdote Angelo Morelli, in sostituzione dell'altro
Cappellano che vi esisteva.
II
Governo Modenese poi per diritto di giurisdizione soleva tenere una
guardia di cento uomini in S. Pellegrino durante il mese di agosto,
ed il Podestà di Montefiorino vi si portava ad aprirvi la fiera, e
ciò a tutte spese di quello Spedale. Nell'agosto del 1819 il
suddetto Rettore ricorse al Duca esponendo che, dopo la unione del
territorio Castiglionese al Ducato di Modena, era cessata la causa di
questo gravissimo peso, per cui
(1)
Archivio Lucchese; Offizio sopra le Differenze, N. 533-534.
ne chiedeva la
esonerazione; ma Francesco IV rispose doversi tener ferme le antiche
consuetudini fino a nuov'ordine (1). Non soddisfatto il 'Conte
Ippolito replicò il ricorso, corroborandolo di più incalzanti
ragioni. Fu allora che il Duca gli fece chiedere in quale uso di
pubblica beneficenza intenderebbe erogare quelle somme che fino a
quell'epoca erano destinate all'uopo sovraccennato, non dovendosi
convertire a vantaggio privato; e nel tempo stesso chiese
informazioni accuratissime sulla erogazione dei diversi vistosi
redditi che impiegarsi dovevano per l'alloggio e mantenimento dei
tanti pellegrini e passeggieri, che continuamente affluivano a
quell'insigne santuario (2). A ciò fu risposto dal Conte De' Nobili,
ma ad onta delle sue deduzioni, il 15 luglio 1822, il Governatore di
Modena avvertiva quello della nostra Provincia che, dovendosi
provvedere al mantenimento del buon'ordine durante la fiera di S.
Pellegrino, anche per quell'anno in via provvisoria, e fino a tanto
che non fossero fissate massime stabili, senza pregiudizio dei
diritti competenti alla Comunità di Montefiorino ed al Governo,
dovessero intervenire quel Sindaco con quindici soldati ed un
uffiziale, cui il Rettore, oltre al consueto trattamento di vitto ed
alloggio, dovesse dare due Francesconi (L. 11.20) al Sindaco e tre
(L. 16.80) all'Ufficiale a titolo d'indennità pei mezzi di trasporto
(3). Altrettanto venne praticato negli anni successivi fino al 1827
inclusive. Fu allora che il lodato Conte Ippolito De' Nobili,
eccitato dal Governo Estense, incaricò il Canonico Professore Don
Pietro Raffaelli di Fosciandora a trattare col medesimo per la
sistemazione della vertenza relativa alle retribuzioni che in
occasione della fiera di S. Pellegrino star dovevano a carico di
quello Spedale.
Aperte
le trattative, fu in fine convenuto che il Rettore pro tempore a
sgravio dei precedenti suoi obblighi tanto pel mantenimento della
truppa, quanto pel vitto ed alloggio dell'Autorità Civile di
Montefiorino, dovesse corrispondere a quel Comune Ital. L. 80
all'anno, cominciando dallo stesso 1829, in occasione dell'apertura
della fiera di agosto (4). Il Governo approvando simile transazione
volle che il Rettore assumesse
(1)
Lettera del Governatore di Modena 20 agosto 1819. Archivio
Governativo di Castelnuovo.
(2)
Lettera del suddetto 13 giugno 1820. Archivio suddetto.
(3)
Atti Governativi N. 6020, del 1822. N. 1135 del 1823. (4) Dispaccio
del Governatore di Modena, 17 luglio 1829.
sopra di sé il
carico di corrispondere l'accennata somma annua ripartita fra quei
poveri che avessero presentato ad un suo Commesso (che poteva essere
anche il -Cappellano) dei Boni a stampa valevoli ciascuno per una
elemosina di centesimi 50; per la quale potevano poi conseguire anche
dallo stesso incaricato, a prezzo ragionevole, quelli alimenti più
comuni che loro potessero occorrere; e ritenuto in oltre che il
Rettore stesso dovesse soddisfare tutti gli altri obblighi di
ospitalità, ricovero ed alimento che sono prescritti dalla
originaria fondazione del Benefizio di S. Pellegrino. Quei Boni poi
in numero di 160, dovevano emettersi da un apposito .Delegato della
Comunità di Montefiorino, cui dal Rettore o dal suo incaricato
dovevano ritornarsi a fin d'anno, calcolando il più ed il meno, a
seconda del numero dei presentati, per versare in caso di differenza
nella cassa di quel Municipio. Il Conte Nobili accettò la
transazione così formulata; e munitala della propria firma fu dal
Governatore inviata a Modena il 23 luglio dello stesso anno 1829 (1).
Nel
1835 essendo insorta questione fra il Rettore di S. Pellegrino ed il
Municipio di Castiglione per le legna occorrenti allo Spedale, il
Duca Francesco IV, con decreto del 7 luglio di detto anno decise, che
il Comune non dovesse alineare nè la proprietà, nè l'uso dei suoi
boschi; ma bensì fosse obbligato ad assegnare di mano in mano quella
quantità di legna occorrente al servizio dello Spedale, a fronte di
pagamento.
Da
un rapporto del Sindaco di Castiglione del 27 settembre 1849 rilevasi
che il Rettore pro tempore di S. Pellegrino col prodotto dei beni
stipendia un Amministratore generale, un Sottofattore in Castiglione,
uno scritturale o computista in Lucca, il Cappellano al Santuario, un
domestico pe' suoi giornalieri servizi, un uomo ed una donna pel
servizio dell'Ospedale, e per provvedere a tutte le relative
occorrenze.
Oltre
agli accennati stipendi sostiene le seguenti gravezze:
Col
mezzo del suo amministratore il 2 novembre di ogni anno distribuisce
del pane a tutti i poveri che si presentano alla sua abitazione.
Riceve
nell'ospizio di S. Pellegrino tutti i poveri pellegrini e
passeggieri, dando loro il comodo di far da mangiare, e
somministrando il sale, e gli utensili necessari. Oltre a ciò sono a
(1)
Atti Governativi, N. 5234.
disposizione numero
sei letti, cioè 3 per gli uomini e 3 per le donne.
Durante
il mese di agosto mantiene 4 Confessori, ed un inserviente per la
chiesa e sagrestia.
Paga
le pubbliche contribuzioni per tutti i possessi dello Stabilimento.
Passa
una pensione vitalizia annua di Italiane L. 450,47 al Sig. Giacomo
Ottavio De' Nobili di Lucca.
Supplisce
alla spesa di due feste annue, l'una il primo d'agosto nell'oratorio
di Gragnano di Lucca, e l'altra il 29 dicembre nell'oratorio del
villaggio di Marcione (1).
E'
a tutto carico del Rettore il mantenimento della casa padronale in
Castiglione, e de' fabbricati appartenenti all'Ospedale medesimo.
Anche
mentre io scrivo, il giuspatronato di S. Pellegrino è retto dal
Conte Federigo del fu Conte Ippolito De' Nobili.
In
ogni tempo visitarono il Santuario persone di ogni ceto; ed ogni anno
nel mese di agosto vi è grandissimo concorso di forestieri. Fino al
1859 ogni tre anni una confraternita numerosissima partiva da Lucca
recandosi alla venerazione di S. Pellegrino; dandone costantemente
avviso al Governatore della Provincia, il quale disponeva affinchè
ovunque fosse ricevuta e trattata coi riguardi che le erano dovuti.
In
oggi il villaggio di S. Pellegrino si compone di numero 7 case, oltre
la chiesa, con 68 abitanti, divisi in 8 famiglie, che fanno parte
della popolazione di Chiozza.
VALBONA
Nell'Alpe
di Castiglione, lungo il fiume detto Esareolo, al disotto
dell'Appennino delle Radici e di S. Pellegrino, avvi un'altra Cura
denominata Valbona, dipendente dalla Parrocchia di S. Pietro del
Castello. Sull'una e sull'altra sponda del fiume sono sparse 81
famiglie con 113 alloggiamenti e capanne per loro e pei molti
bestiami che vi si custodiscono; con 441 abitanti. Essi sono per la
massima parte coloni di proprietari che possiedono vasti terreni in
quelle località, le cui principali risorse sono la pastorizia e le
castagne. Un pessimo sentiero vi guida attualmente dal capoluogo, ma
il Municipio vi fa
(1)
Vedi pag. 219.
costruire una
comoda strada cui si lavora alacramente, e che verrà presto compita;
la quale sarà in parte praticabile coi ruotabili, e faciliterà così
il trasporto dei legnami provenienti da quell'estesissime foreste di
castagni e di faggi, ove rimanevano fin qui inoperosi, e quasi
inutili.
Visitando
S. Pellegrino, ed osservati da quelle alture alla meglio i casolari
di Valbona, discenderemo per la via Vandelli, e dopo poco saremo sul
monte di Chiozza, anticamente denominato la Selva nera, di cui
andiamo a parlare.
CHIOZZA
Diversi
gruppi di case ed altre sparse qua e là per la montagna che sovrasta
a settentrione Pievefosciana ai fianchi dell'Appennino, ove scorre
l'antica strada Vandelli per S. Pellegrino, formano la frazione di
Chiozza, a levante di Castiglione capoluogo del suo Comune, da cui
dista circa 4 chilometri.
In
tempi non molto remoti quei luoghi erano incolti, e piccolissimo era
il numero della popolazione; ma andò crescendo col prendere quelle
robuste montanare a nutrire dei gettatelli dagli Ospizi di Lucca e di
Pisa, de' quali la maggior parte cresciuti si trattennero sul luogo,
e vi formarono altrettante famiglie.
La
cosa andò tant'oltre, che il Governo Estense fu costretto porre un
freno a questa importazione di esposti, e con decreto del 10 agosto
1837 ordinò al Municipio di Castiglione di non permettere agli
abitanti di Chiozza di ricevere per l'avvenire figli dell'Ospedale di
Pisa, e di riconsegnare entro otto giorni quelli che tenevano in
custodia, tanto più che giunti ad una certa età eransi dati a
disturbare sulla pubblica strada i passeggieri che si recavano a S.
Pellegrino e nel Frignano. Questo termine peraltro fu prolungato a
tutto lo stesso anno 1837 a preghiera del Commissario dei RR.
Ospedali di Pisa; quantunque il Sindaco pregasse il Governo a
revocare l'ordine emesso, asserendo che dalla mancanza di questa
industria il Comune aveva una perdita dalle L. 26 alle 30,000, a
tanto corrispondendo ciò che ritraevano le tenutarie (1). A
(1)
Atti Governativi N. 6145 del 1837.
quell'epoca di
fatti si tenevano nella frazione di Chiozza numero 74 esposti
soltanto dello Spedale di Pisa.
Quel
monte, ch'era coperto di castagneti e di boschi, è ora assai ben
coltivato e produttivo. Una piccola chiesa sotto il titolo di S.
Bartolomeo esisteva fino dal 1168 ed è fra quelle nominate nella
Bolla di Alessandro III e soggette al Pievano di Pievefosciana. Fu
poi aggregata a quella di San Pietro di Castiglione nel 1391, ed
ingrandita nel 1828 e nel 1830; e finalmente ultimata nell'anno 1846
mediante diverse somme elargite dal Duca di Modena Francesco IV.
Alcuni
opinano che l'antica chiesuola fosse eretta (insieme con un Castello
che vi esisteva) dalla Contessa Matilde; ma nulla troviamo che
confermi tale opinione. Il punto ov'è collocata è elevato metri 925
sul livello del mare. Un Cappellano Curato, dipendente dal Priore di
S. Pietro di Castiglione, abita presso la chiesa, e provvede alla
cura spirituale di quella popolazione, la quale ascende a 1260
abitanti, divisi in 175 famiglie, ricoverate in altrettante case.
Alla
base del monte di Chiozza incontrasi sulla strada Vandelli il
Villaggio di Campori.
CAMPORI
E'
posto sulla sinistra dell'Esareolo, alla distanza di circa un
chilometro di strada ruotabile al nord da Pievefosciana, e a due dal
suo capoluogo. E' composto di sole 18 case con 30 famiglie e 180
abitanti. Dipende dalla parrocchia di S. Michele del Castello, ed ha
nel suo centro un Oratorio sotto il titolo di Santa Maria. Il Repetti
ritiene esser quello stesso fondato nel 773 da prete Gandualdo nei
suoi possessi in loco Castronovo in Vico Campolo; ma noi siamo
d'avviso che la chiesa del Vico Campolo fosse quella di cui abbiamo
diffusamente parlato nella descrizione di Castelnuovo (pag. 54). Ed
in tale opinione ci confermano altre carte degli anni 740, 839, e
986, nelle quali è rammentato il Vico Campolo nel distretto di
Castelnuovo.
Trassero
i natali nel piccolo paesello di cui parliamo i genitori del
Cardinale Pietro Campori, che fu Vescovo di Cremona, i quali
passarono ad abitare a Castelnuovo sul principio del secolo XVI,
portando seco per casato il nome della
loro patria
d'origine. Il Cardinale ebbe diversi fratelli, ma uno solo per nome
Giov. Battista lasciò successione, e fu padre di Pietro Marchese di
Soliera, da cui discende la nobile famiglia dei Marchesi Campori che
anche attualmente fiorisce ed illustra la città di Modena e l'Italia
nostra.
Nei
tempi trascorsi gli abitanti dei villaggi di Campori e Marcione,
essendo sulle due sponde dell'Esareolo, avevano l'onere di mantenere
un ponticello di legno per transitare quel fiume ed erano in compenso
esonerati dalla prestazione delle opere gratuite, dette comandate, a
favore della Comunità, alle quali andavan soggetti tutti gli
abitanti della medesima dai 18 ai 60 anni. Soltanto nel 1824 ne
furono dispensati per Decreto Governativo (1). Ed ora nella medesima
località sorge un bel ponte in macigno costruito sul disegno
dell'Ingegnere Malaspina quando fu aperta dal Governo Estense la via
delle Radici.
Per
compiere la visita del Comune di Castiglione restano ancora i due
paesi di Piano di Cerreto e di Mozzanella, ai quali ci condurremo
comodamente mettendoci sulla nuova strada che da Pontardeto porta a
Villa Collemandina.
PIANO
DI CERRETO
In
amenissima posizione su di una ridente collina, fra il fiume di
Castiglione a levante, e quello di Corfino a ponente, sorge il
piccolo paese denominato Pian di Cerreto, al di sopra e al disotto
del quale distendesi una fertile pianura, che a settentrione confina
coll'altra di Villa Collemandina, ed a mezzogiorno colla strada che
guida a S. Romano. Gode a ponente della bella vista di tutta la
catena delle Alpi Apuane e del Serchio, che scorre alla base del
colle su cui giace il paese, formato da 24 case unite con 23 famiglie
e 131 abitanti. Avvi una piccolissima chiesa curata dipendente dal
Rettore di S. Michele di Castiglione, troppo angusta per altro al
bisogno di quel popolo, il quale conta 235 anime, computate eziandio
le famiglie sparse per la campagna dipendenti da quella Cura. Un
altro Oratorio di proprietà della famiglia Rossi fu aperto al
pubblico culto il di 1.° ottobre dell'anno decorso 1878.
Questo
bel paesino, adattatissimo per ridurvi amene villeggiature, dista
circa tre chilometri da Castelnuovo, e 2,500
(1)
Atti Governativi 20 gennaio 1824, N. 2495.
da
Castiglione, cui si unisce per mezzo di un pessimo sentiero
impraticabile persino con bestie da soma; al quale inconveniente
sperasi veder presto provvisto dalla saggezza e giustizia del
Municipio.
Proseguendo
il cammino al di sopra della Terra, sempre sulla via di Villa
Collemandina, e poco dopo volgendo a sinistra si scende nel fiume di
Corfino, ove incontrasi un piccolo ponticello di legno, varcato il
quale risalendo sulla sponda destra saremo al piccolo paese di
Mozzanella.
MOZZANELLA
Contiene
esso sole 18 famiglie, con 21 alloggiamenti e 107 abitanti. Dista dal
suo capoluogo di Comune 3 chilometri, ed un brutto e pericoloso
sentiero ve lo congiunge.
A Mozzanella
esisteva in antico un Eremo di Agostiniani (come ricavasi dagli atti
dell'Archivio arcivescovile di Lucca) sotto il titolo di S.
Salvatore, del quale nel 1247 era Priore un cotale Frediano, e nel
1251 un Fra Mauro che intervenne al Capitolo Generale. Nell'anno 1260
questo Eremitaggio era gravato di L. 12 di decime e la sua chiesa
trovasi nella nota di quelle soggette a Pieve Fosciana; poco dopo
venne soppresso coll'altro di Chifenti (1) ed unito al Monastero
degli Agostiniani di Lucca. A quell'epoca la chiesa dell'Eremo stesso
di Mozzanella fu eretta in Parrocchia, e la nomina del Rettore fu
devoluta a quel Popolo (2).
Il
territorio, sebbene piccolo, è assai fertile vegetandovi benissimo
anche la vite; ma nulla vi si trova che richiamar possa l'attenzione
del viaggiatore.
(1) Piccolo
paese poco al disotto dei Bagni di Lucca.
(2) Atti
Governativi, N. 719 del 1838.